Sì al sesso dai 14 anni, accesso al porno solo dai 18: perché?
- 12 Novembre 2025
- Giovani
Dal 12 novembre 2025 cliccare su “Ho più di 18 anni” non basta più. Per guardare un video porno serve un documento virtuale. L’Agcom – in applicazione del decreto Caivano – ha reso operativo il sistema di verifica dell’età: 48 portali a luci rosse sono obbligati a impedire l’accesso ai minori e a reindirizzare ogni utente verso un servizio di identificazione esterno.
Funziona così: chi prova a entrare su un sito pornografico viene dirottato su una piattaforma gestita da un soggetto terzo, indipendente e certificato. Lì deve dimostrare di avere almeno 18 anni. In cambio ottiene un codice temporaneo, un “token” anonimo, valido solo per quell’accesso. “È un sistema a doppio binario – spiega l’avvocato penalista di Roma Mattia Fontana – perché il soggetto terzo deve verificare che la persona sia maggiorenne e poi rilascia un codice temporaneo che può essere usato per entrare nel sito. Il codice contiene solo informazioni sull’età della persona e nessun altro dato sulla sua identità”.
L’Autorità precisa che né Spid né Cie potranno essere usati: le piattaforme porno non devono avere contatti diretti con dati sensibili. È esclusa anche ogni forma di riconoscimento facciale o stima dell’età tramite algoritmi. Il principio è quello del “doppio anonimato”, una garanzia formale di riservatezza.
Ma la misura ha già sollevato dubbi tecnici e giuridici. Secondo il Codacons, “si tratta di una misura giusta ma insufficiente. Bloccare 48 siti su migliaia non impedirà ai minori di accedere a contenuti pornografici. Oggi video e immagini a sfondo sessuale circolano ovunque: su Telegram, su TikTok, nei gruppi chiusi di WhatsApp”.
Un altro punto critico è il perimetro geografico. Il divieto vale solo per chi si collega dall’Italia: una Vpn è sufficiente per aggirare il blocco, collegandosi da un server estero. L’Agcom replica che “il provvedimento non ha la pretesa di eliminare del tutto il fenomeno, ma di responsabilizzare gli operatori e fissare uno standard di sicurezza”. Un’operazione soprattutto simbolica, che segna l’inizio di una fase nuova: quella in cui la pornografia online diventa materia di regolazione pubblica.
Tra privacy e tutela
L’Italia è il primo Paese dell’Unione a introdurre un modello di verifica basato sul token anonimo, in parte mutuato da un progetto pilota della Commissione europea. Entro la fine del 2025 il sistema dovrebbe confluire nel “portafoglio digitale europeo”, che riunirà patente, carta d’identità e credenziali biometriche. In futuro, l’età potrà essere verificata con un riconoscimento dell’impronta o della retina, senza rivelare i dati anagrafici.
L’obiettivo dichiarato è quello di tutelare i minori e proteggere la privacy degli adulti. Ma le modalità di applicazione cambiano da Paese a Paese. In Francia, i siti che hanno rifiutato la verifica – tra cui Pornhub e YouPorn – hanno spento i server in segno di protesta. Al posto dei video, un’immagine della Marianne con la scritta “La libertà non ha un interruttore”. Nei tribunali francesi, il colosso Aylo (che controlla anche RedTube) ha perso i ricorsi. In Regno Unito, l’Online Safety Act impone la registrazione con carta di credito o numero di telefono. Negli Stati Uniti, 24 Stati hanno leggi simili, ma in Texas diversi portali hanno fatto causa sostenendo che il filtro limita la libertà di espressione garantita dal Primo Emendamento.
In questo contesto, l’Italia tenta la via “tecnicamente neutra”: nessuna consegna di documenti, nessun selfie, solo un codice anonimo. Un compromesso che però sposta la questione dal piano della censura a quello della coerenza normativa.
“L’intento è corretto, la logica di tutela condivisibile – osserva Fontana – ma serve una cornice coerente. Non si può da un lato consentire rapporti sessuali ai minori di 18 anni e, dall’altro, vietare loro di guardare materiale che rappresenta quegli stessi rapporti, sebbene in alcuni casi siamo consapevoli che il porno è una rappresentazione distorta del sesso. La legge deve parlarsi, non contraddirsi”.
La questione, più che di morale, è di coerenza normativa. Il nodo si trova nel modo in cui l’ordinamento italiano definisce la maturità sessuale e la capacità di autodeterminazione dei minori, due aspetti che oggi si muovono su binari separati.
L’età del consenso e il nodo della coerenza giuridica
In Italia, infatti, la soglia generale dell’età del consenso sessuale è fissata a 14 anni. Lo stabilisce l’articolo 609-quater del Codice Penale, che punisce “chiunque compie atti sessuali con persona di età inferiore ai quattordici anni”. Se c’è un rapporto di autorità, vigilanza o custodia, la soglia sale a 16 anni. Sono escluse da responsabilità penale le relazioni tra coetanei con età prossime (almeno 13 anni ciascuno).
Si tratta di una norma pensata per distinguere i rapporti consensuali dagli abusi. Eppure, a partire da oggi, un quattordicenne può avere rapporti sessuali legittimi con un maggiorenne, ma non può accedere a un contenuto pornografico che li rappresenti. “È un cortocircuito – commenta Fontana –. L’ordinamento riconosce al minore la capacità di autodeterminarsi in un ambito privato e concreto, ma gliela nega nel campo astratto della rappresentazione”.
Il divario tra i 14 e i 18 anni è nato per finalità diverse. La prima soglia tutela la libertà individuale; la seconda, la salute psicologica e l’educazione dei minori. Ma nel 2025 la distinzione appare sempre più fragile: gli stessi adolescenti che la legge considera maturi per decidere della propria sessualità vengono ritenuti troppo vulnerabili per guardare un film pornografico.
Fontana rilancia: “Forse sarebbe più onesto individuare un’età unica, magari più alta dei 14 anni, ma coerente. Un’età dalla quale il minore possa farlo e guardarlo, senza commettere alcun illecito. Lo Stato dovrebbe stabilire un perimetro chiaro, non mandare messaggi contraddittori”.
L’avvocato sottolinea anche un aspetto pratico: “Dal punto di vista penale, chi ha meno di 14 anni è considerato incapace di dare un consenso valido. Ma da 14 in su il legislatore presume una maturità sufficiente a scegliere. Se questa maturità vale per i rapporti sessuali, non si capisce perché non valga per l’esposizione a contenuti erotici”.
Il tema, oltre che giuridico, è politico. Manca una norma che armonizzi le diverse età soglia. Nel Codice Penale, nel Codice delle comunicazioni e nel Testo unico sui minori le definizioni cambiano, creando una giungla interpretativa. Le stesse autorità – Agcom, Garante per l’infanzia, Ministero dell’Istruzione – si muovono su piani separati. Il risultato è una normativa che procede a compartimenti stagni: tutela dei minori da un lato, autodeterminazione dall’altro.
Il porno non si ferma al filtro
Dietro il nuovo filtro dell’Agcom c’è un Paese che consuma pornografia come pochi altri. L’Italia è all’ottavo posto nel mondo per numero di visite ai siti a luci rosse e al quinto per durata media della visione. Secondo un’indagine di Skuola.net, quattro ragazzi su dieci tra i 10 e i 25 anni accedono regolarmente a contenuti pornografici. Nella fascia 11–13 anni, un terzo è già un fruitore abituale.
Il divario di genere si sta assottigliando: le donne rappresentano oggi quasi il 30% degli utenti, contro il 24% del 2015. Il 21% dei ragazzi dichiara di guardare porno “spesso”, un altro 21% “ogni tanto”. Tra le ragazze, il 7% lo fa regolarmente, il 29% in modo saltuario. Le differenze emergono più nella frequenza che nell’atteggiamento: un terzo dei maschi non considera la pornografia come un fattore di oggettivazione della donna; tra le ragazze, lo pensa il 17%.
La quasi totalità degli accessi – il 90% – avviene da smartphone. Ma i canali si diversificano: il 60% degli utenti utilizza PlayStation 5, il 35% PlayStation 4; cresce anche la visione tramite visori VR e smart TV. Parallelamente, si moltiplicano i contenuti amatoriali: account di OnlyFans, canali privati su Telegram, e community semi-anonime su Reddit.
Il 27% del pubblico dei siti pornografici ha tra i 18 e i 24 anni, il 24% tra i 25 e i 34. Le fasce giovanili restano il motore principale del traffico. E mentre lo Stato stringe sui portali ufficiali, il materiale esplicito circola liberamente su piattaforme generaliste, dove i controlli sono inesistenti.
Il Codacons lo definisce “un tentativo parziale”: “Bloccare alcuni domini non fermerà il consumo, ma introduce un principio di responsabilità. È un passo simbolico, che dovrà essere seguito da un intervento più ampio sull’educazione digitale”.
L’intervento dell’Agcom segna, intanto, il primo tentativo di regolare l’accesso alla pornografia in chiave di tutela dei minori. Resta da capire se la tecnologia scelta riuscirà a sostenere un obiettivo che, al momento, appare più giuridico che culturale.

