Basta smartphone in classe? L’Italia chiede all’Ue di proteggere i giovani
Una notifica. Una vibrazione. Un’occhiata allo schermo. In aula, come a casa, per molti bambini e ragazzi lo smartphone è diventato un’estensione della mano e un riflesso automatico della mente. Ma cosa succede se il digitale invade anche lo spazio educativo per eccellenza, quello della scuola? A sollevare la questione, con fermezza e visione, è stato il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara: il 12 maggio, l’Italia presenterà alla Commissione europea una richiesta formale per vietare l’uso degli smartphone a scuola per tutti gli studenti sotto i 14 anni.
Una proposta semplice, ma destinata a far discutere. Perché, se è vero che i dispositivi digitali offrono opportunità, è altrettanto vero che il loro uso precoce e incontrollato sta avendo effetti preoccupanti: distrazione costante, calo del rendimento, difficoltà relazionali, ansia e disturbi del sonno. Non a caso, la proposta italiana ha già ricevuto l’appoggio di Polonia e Svezia, e si inserisce in un movimento più ampio che vede le famiglie, le scuole e molti Stati europei interrogarsi su come proteggere davvero i ragazzi. Non con un ritorno al passato, ma con un passo deciso verso un’educazione più equilibrata, responsabile e umana.
Perché il divieto sotto i 14 anni è una scelta di salute
L’idea di vietare i cellulari a scuola per gli under 14 non nasce da un impulso nostalgico, ma da dati concreti. Numerosi studi scientifici evidenziano che l’uso continuativo degli smartphone in età evolutiva può compromettere la capacità di attenzione, ridurre la memoria a breve termine e disturbare lo sviluppo della fantasia. E non è solo una questione scolastica: la dipendenza da dispositivi digitali è sempre più collegata a stati di ansia, sintomi depressivi e difficoltà di regolazione emotiva.
L’Autorità garante per l’infanzia, Marina Terragni, ha recentemente ricordato come anche l’uso degli smartphone da parte dei genitori possa influire negativamente sul benessere dei figli, specialmente nei primi anni di vita. Il problema non è solo ciò che fanno i bambini, ma il modo in cui gli adulti, senza volerlo, trasmettono modelli di comportamento dominati dallo “scrolling compulsivo”. Il rischio? Una relazione genitore-figlio impoverita, con conseguenze sul linguaggio, sulla sicurezza affettiva e sulla capacità di gestire le emozioni.
In questo contesto, la scuola può diventare un alleato prezioso. Vietare l’uso dei telefoni fino ai 14 anni significa restituire ai ragazzi uno spazio di libertà cognitiva e relazionale. Un tempo “scollegato” in cui poter guardare in faccia gli altri, ascoltare davvero, scrivere a mano, costruire la concentrazione. Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di educare a usarla con consapevolezza, quando le basi della personalità sono più stabili.
Educazione digitale? Inizia a casa, continua in classe
Ogni genitore sa quanto sia difficile oggi dire “no” a un figlio quando si tratta di tecnologia. Ma spesso quel “no” è un “sì” al suo benessere. E proprio per sostenere le famiglie in questo compito, la proposta italiana chiama in causa una nuova alleanza educativa: scuola e famiglia non devono più agire come compartimenti separati, ma diventare co-protagonisti nel guidare bambini e adolescenti in un uso sano e costruttivo degli strumenti digitali.
Il Moige (Movimento Italiano Genitori) ha espresso pieno appoggio all’iniziativa del ministro Valditara. “Sosteniamo la proposta italiana alla Ue di vietare l’uso dei cellulari in classe fino ai 14 anni, riconoscendo l’urgenza di salvaguardare la salute e lo sviluppo cognitivo dei minori e sottolineando l’importanza di un’educazione digitale responsabile – ha dichiarato all’Adnkronos Antonio Affinita direttore generale del Moige. – Apprezziamo l’impegno congiunto degli Stati membri a favore del benessere delle future generazioni e confidiamo in un rapido iter per l’approvazione della raccomandazione”.
Ma l’educazione digitale non si insegna solo a scuola. Ogni giorno, tra le mura domestiche, i bambini assorbono abitudini, gesti, tempi e priorità. Se un genitore mette via il telefono durante i pasti, se si dedica a una conversazione reale anziché rispondere all’ennesimo messaggio, sta educando. Se legge un libro insieme ai figli invece di lasciare che guardino un video in silenzio, sta trasmettendo valori. Ecco perché il divieto a scuola non basta: deve essere accompagnato da una cultura familiare nuova, fatta di scelte quotidiane, pazienza e coerenza.
L’Europa verso una scuola meno connessa: le misure già attive
L’iniziativa italiana non nasce nel vuoto. In Francia, dal 2018, è già in vigore il divieto di usare i cellulari nelle scuole primarie e secondarie. Più recentemente, 50.000 studenti sono stati coinvolti in un esperimento di “interruzione digitale” che ha esteso il divieto all’intera giornata scolastica. Anche in Finlandia e Paesi Bassi sono state introdotte norme per limitare l’uso dei dispositivi, consentendoli solo per fini educativi o per motivi sanitari.
L’Irlanda ha stanziato nove milioni di euro per fornire alle scuole contenitori dove riporre i telefoni durante le lezioni. In Grecia, Spagna, Belgio e Lettonia si stanno varando misure simili. In Svezia, l’agenzia per la salute pubblica ha persino raccomandato di non esporre i bambini sotto i due anni ad alcun media digitale. Insomma, l’Europa si sta muovendo, e la proposta italiana ha il potenziale per creare un fronte comune.
Nel Parlamento europeo, intanto, il tema è già oggetto di dibattito. Glenn Micallef, commissario per l’Istruzione e la Gioventù, ha dichiarato che la Commissione raccoglierà dati da tutti gli Stati membri per valutare gli effetti dei divieti. Una decisione ufficiale è attesa entro il 2025. Se l’Unione accoglierà la raccomandazione italiana, sarà un segnale forte: l’educazione digitale non può essere lasciata solo alle app o agli algoritmi, ma deve diventare parte integrante di un progetto educativo fondato su equilibrio, cura e consapevolezza.