Ogni anno 4mila morti per disturbi alimentari, sempre più giovane chi ne soffre
- 16/01/2024
- Giovani
Di disturbi alimentari si muore. Nonostante siano spesso minimizzati e considerati come un capriccio superficiale o una fissazione provocati dalla civiltà dell’immagine e dell’esteriorità, sono invece una patologia complessa che incide pesantemente sulla vita quotidiana di chi ne è colpito e di chi gli sta intorno. E che può avere conseguenze fatali. In Italia, ma è solo una stima, come ricorda all’Adnkronos Salute la Fondazione Fiocchetto Lilla, soffrono di Dca 3,5 milioni di persone, circa il 5% della popolazione. Più di 2 milioni sono giovani sotto i 25 anni, così come 25 anni è esattamente l’età media di chi muore per queste patologie. Parliamo di numeri da capogiro se pensiamo che ogni anno sono 4mila le morti per la mancanza di cure nel trattamento delle malattie del comportamento alimentare. Perché dai Dca si può guarire, con le giuste terapie.
Ecco perché nei giorni scorsi si è scatenato un polverone alla notizia dell’azzeramento del Fondo per il contrasto dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. La legge di Bilancio 2024, infatti, non ha rifinanziato il Fondo, che era stato creato nel 2021 dal governo Draghi grazie a un emendamento che attribuiva a queste malattie un’autonomia all’interno dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) nell’ottica di una revisione dei Lea, poi non attuata.
Si trattava di un fondo ministeriale da 25 milioni in 2 anni per tutte le Regioni, che ha consentito di mettere in piedi servizi ad hoc in territori dove prima non c’era nulla e di potenziare quelli già esistenti. Servizi che senza il rifinanziamento dovranno essere interrotti, con gravi ricadute su tutte le persone interessate.
Situazione critica, il 19 gennaio manifestazioni in varie città
La situazione è già critica, fanno notare le varie associazioni: “Le liste d’attesa per accedere ai servizi per i disturbi del comportamento alimentare sono lunghissime. Molti caregiver devono lasciare il lavoro: le persone con queste malattie vanno seguite a tutti i pasti. Il taglio del Fondo cosa significa? Che probabilmente non verranno rinnovati i contratti a molti professionisti sanitari dedicati. Noi aspiriamo ad avere il riconoscimento nei Lea, visto che c’è già una legge ed è inattuata. Ma a quanto pare il Governo non sembra intenzionato a procedere con questo scorporo all’interno dei Lea”.
Ecco perché il 19 gennaio, nelle principali città italiane, si scende in piazza, con lo slogan ‘I Dca non sono una nostra scelta. Ci state tagliando il futuro’. A organizzare le manifestazioni sono ‘Chiedimi come sto (Udu e Rete degli studenti medi)’, Fondazione Fiocchetto Lilla, ‘Animenta Dca’, Maruska Albertazzi, attivista dell’associazione ‘Mi nutro di vita’, e Silvia Persico. A Roma l’appuntamento è alle 15.30 davanti al ministero della Salute.
“Il 19 gennaio scendiamo in piazza perché di disturbi alimentari si muore, oggi più di ieri. E se non facciamo nulla, si morirà domani più di oggi. Non resteremo a guardare”, scrive Albertazzi su Facebook.
Intanto dalla politica arrivando delle rassicurazioni. Da una parte il ministro per lo Sport e i giovani Andrea Abodi dichiara di voler “approfondire, capire se questa voce non esiste più perché è stata inglobata in altri elementi o se deve essere rifinanziata. Il tema non va sottovalutato, siamo consapevoli che è necessario intervenire su questa drammatica manifestazione del disagio giovanile”.
Dall’altra Maurizio Lupi, capogruppo alla Camera di Noi Moderati, e Martina Semenzato, deputata di Coraggio Italia e del gruppo parlamentare di Noi Moderati, chiariscono: “Siamo a lavoro con il ministero della Salute non solo per ripristinare i fondi sui disturbi alimentari, ma per renderli strutturali. La tutela della salute è un diritto fondamentale sancito dalla nostra Costituzione e non va strumentalizzato. Il disegno di legge è stato già da noi depositato e ora si dimostri di lavorare nell’esclusivo interesse di coloro che contro la malattia stanno lottando”.
Le conseguenze del taglio del Fondo
L’azzeramento del Fondo ha diverse conseguenze.
- La prima è ovviamente la chiusura dei servizi ad hoc che sono stati messi in piedi grazie al Fondo e il ridimensionamento di quelli che già esistevano. È importante notare che i Dca richiedono cure specifiche che non possono essere fornite da un Centro di salute mentale o da un reparto di Psichiatria dentro un ospedale, strutturati piuttosto per le acuzie psichiatriche. Questo significa che in assenza di centri specializzati, ragazzi molto giovani – perché il problema riguarda soprattutto loro – finiscono dentro reparti psichiatrici ospedalieri per adulti, cosa che costituisce un ulteriore trauma.
- E significa anche molto spesso un ritardo diagnostico e terapeutico che rende più difficile e lunga la guarigione, con tutti i problemi che questo comporta per la paziente e la famiglia, ma anche con un aggravio delle spese sanitarie e dei costi sociali. Insomma, i soldi risparmiati ‘dalla porta’ azzerando il fondo escono lo stesso, maggiorati, dalla ‘finestra’.
- Interrompendo i fondi, spiega Stefano Tavilla, fra i fondatori della Fondazione Fiocchetto Lilla e presidente dell’associazione ‘Mi Nutro di Vita’, “oltre all’allungamento di liste d’attesa già lunghissime vedremo una contrazione della cura; la guarigione sarà tarata verso il basso, dovremo fare percorsi sempre più brevi e ci accontenteremo di raggiungere solo una remissione dei sintomi o un certo livello di peso. Ma questa non è guarigione, è una condizione in cui un malato può avere una ricaduta, con tutto quello che ne consegue per la persona, per la famiglia e per il Servizio sanitario nazionale”.
- Il taglio del fondo inoltre andrà ad aumentare il divario tra le regioni, già esistente. In Italia, rivelano i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), ci sono 126 centri dedicati alla cura dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, di cui 112 pubblici e 14 nel privato accreditato. Ma non sono distribuiti in modo uniforme: il maggior numero dei centri (63) si trova nelle regioni del Nord (in particolare in Emilia-Romagna (20) e in Lombardia (15)), mentre 23 sono al Centro (di cui 8 nel Lazio e 6 in Umbria), e 40 tra il Sud e le Isole (12 in Campania e 7 in Sicilia).
Conseguentemente, spiega Maruska Albertazzi, “succede che ci si debba affidare al buonsenso di ogni singolo amministratore, sperando che destini parte dei letti ai disturbi alimentari. Ma non è tenuto a farlo. Così come non è tenuta l’Asl ad avere un Centro per i disturbi alimentari. E quindi sei fortunato o sfortunato a seconda di dove nasci. Se nel territorio della tua Asl c’è un centro di eccellenza, bene. Se non c’è, magari vieni mandato in un Centro di salute mentale che non ha nutrizionisti né psicoterapeuti esperti di disturbi alimentari”.
Una malattia di genere, e sempre più precoce
I Dca stanno diventano sempre più un problema, anche perché il loro esordio è sempre più precoce: “Circa il 20% delle diagnosi è sotto i 14 anni e il 10% sotto i 12 anni. Ma ci sono anche casi di bambini di 6-7 anni”, spiega Albertazzi, “ed è difficilissimo gestire la cura perché è un’età in cui non si può fare la psicoterapia che si fa con gli adulti, è un lavoro diverso e molto più complesso, e serve personale specializzato. Così i viaggi della speranza delle famiglie continuano”.
Il problema si è ingigantito dopo il Covid: a seconda delle fonti, si calcola che i casi siano aumentati del 30-40% (i ricoveri durante e dopo il lock down erano saliti del 50%). Cresce la componente maschile, soprattutto nelle nuove generazioni, ma la stragrande maggioranza delle pazienti sono donne.
L’età di approccio ai disturbi si è abbassata tantissimo: “Sapete quanti ragazzini di 14 anni con questi problemi – sottolinea Tavilla – vengono ricoverati nei reparti di Psichiatria ordinaria perché non possono entrare più in ospedale pediatrico? Sapete cosa vuol dire per loro passare anche solo 15 giorni in un reparto di Psichiatria in un ospedale? Vuol dire segnarli per tutta la vita”.
“Non nascondiamo infine – continua – che questa è una malattia di genere. I maschi stanno aumentando, è vero, ma la maggioranza sono donne. E ci sono tutte quelle donne oltre i 35 anni che ormai non vengono più curate. Cosa ne facciamo di queste persone? Sono già abbandonate“.
Cosa chiedono le associazioni
Un fondo non basta, spiega Aurora Caporossi, presidente dell’associazione Animenta:” Dobbiamo sviluppare una progettualità di lungo periodo per affrontare quella che da tutti è ormai definita, da diverso tempo, epidemia silenziosa”. “Noi – sottolinea – chiediamo che venga attuata quella legge sui Lea e che da quella legge venga costruita una rete di servizi in ogni regione. Oggi ci sono realtà in cui non c’è nulla per questi disturbi e c’è tanto turismo sanitario, famiglie costrette a fare chilometri per poter curare i loro cari. Faccio un esempio: pensate a una famiglia con due figli, uno malato e uno no, che dal Sud si deve spostare in Lombardia. La mamma magari segue la figlia impegnata nelle cure, il padre resta col fratello a più di mille km di distanza. Sarebbe ben diverso se il supporto queste persone lo avessero sotto casa”.
D’accordo Tavilla: “È fondamentale dare una prospettiva stabile, progettuale, in modo che queste malattie abbiano delle risorse proprie su tutto il territorio nazionale. Un decreto attuativo per una legge dello Stato si potrebbe fare in qualsiasi momento. Invece temo sia una scelta. Un fondo non servirebbe, se ci fossero i Lea. Ma a ottobre 2023 c’è stata un’interrogazione al sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, il quale ha risposto che l’Organizzazione mondiale della sanità ritiene questi disturbi malattie psichiatriche, quindi non vanno scorporati dalla salute mentale all’interno dei Lea”.
In definitiva, conclude amaramente Tavilla, i disturbi del comportamento alimentare “stanno diventando incurabili non perché lo dicano la medicina o la scienza, ma perché lo sta decretando la politica”.
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