Nepal, si dimette il primo ministro dopo la repressione della protesta social
Il primo ministro nepalese Kp Sharma Oli ha rassegnato le dimissioni in seguito alla violenta repressione delle proteste contro il blocco dei social media. A scendere in piazza è stata la “Generazione Z”, un movimento giovanile che ha contestato duramente la decisione del governo di oscurare oltre venti piattaforme digitali. La risposta delle forze dell’ordine è stata brutale: 19 manifestanti hanno perso la vita.
Le Nazioni Unite hanno chiesto un’indagine rapida e trasparente, mentre tre ministri hanno già lasciato il governo. Il blocco è stato revocato, ma la mobilitazione non si ferma.
Ma come si è arrivati fino a questo punto?
Blocco dei social in Nepal
La scorsa settimana, il Nepal aveva annunciato un blocco all’accesso a oltre una ventina di social media, tra cui Facebook, X, TikTok e Instagram, per non aver rispettato il termine per la registrazione nel Paese. “Le piattaforme di social media non registrate saranno disattivate a partire da oggi”, aveva dichiarato il 4 settembre all’Afp Gajendra Kumar Thaku, portavoce del ministero delle Comunicazione e della Tecnologia dell’Informazione. Il governo ha affermato che le piattaforme dei social media devono essere regolamentate per contrastare le fake news, l’incitamento all’odio e le frodi online.
I social in Nepal
Il tentativo del governo di vietare i social media ha toccato un punto debole del Paese. Il Nepal ha uno dei tassi più alti di utenti social dell’Asia meridionale. Secondo l’ultimo rapporto di DataReportal, a gennaio 2025 il Nepal ospitava 14,3 milioni di utenti attivi sui social, pari al 48,1% della popolazione totale. A titolo di confronto, nella vicina India gli utenti attivi sui social media rappresentano solo il 33,7% della popolazione. Secondo un’analisi della società Kepios, il numero totale di utenti dei social media in Nepal è aumentato di 750 mila (5,6%) tra l’inizio del 2024 e l’inizio del 2025. Facebook occupa il primo posto, con 14,3 milioni di utenti all’inizio del 2025, seguito da Instagram (3,9 milioni) e LinkedIn (2 milioni).
Sono diversi i fattori che probabilmente contribuiscono alla popolarità dei social media in Nepal:
• Più della metà della popolazione vive in aree rurali e isolate e spesso usa i social come fonte di svago o informazione;
• Un’altrettanta gran parte della popolazione lavora o studia all’estero a causa di un tasso di disoccupazione giovanile pari al 20,8%;
• L’età media della popolazione nepalese è di circa 25 anni: una tra le più attive sui social.
Cos’è il social ban?
Il “social ban” è una misura restrittiva che limita o vieta l’accesso ai social media, applicata da governi o piattaforme per motivi di sicurezza, regolamentazione o moderazione dei contenuti. Può colpire singoli utenti (con sospensioni o penalizzazioni invisibili, come lo shadow ban) oppure intere piattaforme, come nel caso del Nepal, dove il governo ha bloccato oltre venti social network per mancata registrazione e per contrastare fake news e incitamento all’odio. Questo tipo di divieto solleva interrogativi sulla libertà di espressione e sul controllo dell’informazione digitale.
La protesta della Gen Z
Non stupisce, quindi, che i giovani del Paese siano scesi in piazza per protestare contro il blocco dei social. La manifestazione era stata convocata da un gruppo, che si fa chiamare Generazione Z, nei pressi del parlamento di Kathmandu. Il ministro delle Comunicazioni del Nepal, Prithvi Subba, aveva dichiarato alla Bbc che la polizia ha dovuto ricorrere alla forza, utilizzando anche idranti, lacrimogeni, manganelli e proiettili di gomma. È stato anche imposto il coprifuoco in alcune zone, tra le quali quella antistante l’edificio del parlamento, dopo che i manifestanti hanno tentato di entrarvi. Un portavoce dell’esercito nepalese Rajaram Basnet ha aggiunto alla Bbc che una piccola unità di soldati sarebbe stata schierata nelle strade dopo l’introduzione del coprifuoco, vietando assembramenti, raduni e sit-in.
A tale protesta è seguita una violenta repressione da parte delle forze dell’ordine la quale ha portato alla morte di 19 persone. A comunicare i primi dati su decessi e feriti all’Afp è stato un portavoce della polizia della capitale nepalese, Shekhar Khanal, affermando che tra il centinaio di feriti ricoverati ci sarebbero anche dei poliziotti.
Le dimissioni dei ministri
Prima delle dimissioni del primo ministro erano tre i ministri del governo nepalese che si erano dimessi dopo la morte dei giovani manifestanti. A lasciare nelle ultime ore, dopo le dimissioni del ministro dell’Interno Ramesh Lekhak, finito sotto accusa per l’uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia, il ministro dell’Agricoltura Ram Nath Adhikari e il ministro per le Forniture idriche Pradeep Yadav, che, in una nota, ha espresso “sostegno per i giovani della Gen Z che si sono opposti alla repressione condotta dal governo”.
L’intervento delle Nazioni Unite
Le Nazioni Unite hanno chiesto che venga aperta un’inchiesta e che sia condotta in modo “rapido e trasparente” sulla repressione delle manifestazioni di protesta per la messa al bando in Nepal di social media. “Siamo scioccati per le uccisioni e i ferimenti dei manifestanti in Nepal e sollecitiamo un’indagine tempestiva e trasparente”, ha dichiarato Ravina Shamdasani, portavoce dell’ufficio Onu per i diritti umani.
Il divieto ai social è stato revocato. Ma, anche oggi 9 settembre, i manifestanti sono tornati in piazza a Kathmandu, protestando davanti al Parlamento contro “le atrocità della polizia”, mentre è stata data alle fiamme la casa dell’ex premier Sher Bahadur Deuba a Dhangadhi.