Morto suicida a 15 anni, ipotesi bullismo a scuola: quanti i casi in Italia?
- 15 Settembre 2025
- Giovani
Paolo, quindicenne di Santi Cosma e Damiano, in provincia di Latina, lo scorso 10 settembre si è tolto la vita nella sua camera. Avrebbe dovuto iniziare il secondo anno all’istituto tecnico Pacinotti di Fondi. In una lettera inviata al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e a Papa Leone XIV, il fratello denuncia il bullismo che perseguitava l’adolescente.
La Procura di Cassino ha aperto un’inchiesta e disposto l’autopsia sul corpo del ragazzo. L’ipotesi di reato è istigazione al suicidio. I carabinieri hanno sequestrato i telefoni del ragazzo e di alcuni compagni di scuola per ricostruire le ultime ore del quindicenne. Il ministro Valditara, oltre ad aver manifestato il proprio cordoglio per la morte del ragazzo e solidarietà alla famiglia, ha annunciato l’avvio immediato di due ispezioni ministeriali: una presso la scuola media inferiore frequentata in precedenza da Paolo e l’altra presso l’istituto superiore dove il ragazzo avrebbe iniziato il secondo anno.
Una storia che riapre il dibattito sul bullismo scolastico, sulla responsabilità di famiglie e istituzioni nel controllo e nella lotta a questo fenomeno che occupa uno spazio sempre più rilevante nel panorama adolescenziale nazionale e internazionale.
Bullismo in Italia
Dai dati più recenti dell’Istat, raccolti nel report “Bullismo e cyberbullismo nei rapporti tra i ragazzi 2025”, emerge un quadro preoccupante: nel 2023 il 68,5% dei giovani tra gli 11 e i 19 anni ha dichiarato di essere rimasto vittima di almeno un comportamento offensivo non rispettoso e/o violento, online e/o offline, nei 12 mesi precedenti la rilevazione. Il 21% ha dichiarato di aver subito tali comportamenti in maniera continuativa (più di una volta al mese) e l’8% più volte a settimana.
Secondo l’Istat, la fascia 11-13 anni è quella più soggetta ai comportamenti offensivi, non rispettosi e/o violenti subìti con continuità rispetto ai ragazzi di 14-19 anni (23,7% contro 19,8%). La percentuale tra maschi e femmine è pressoché la stessa (21,5% e 20,5%). Un giovane su 10 è stato vittima di esclusione sociale con frequenza anche maggiore.
In concomitanza con l’inizio dell’anno scolastico 2025-2026, ActionAid ha raccolto le testimonianze di quasi 15mila adolescenti. Dall’indagine “Affettività e stereotipi di genere. Come gli adolescenti vivono relazioni, genere e identità” condotta da Webboh Lab per ActionAid è emerso che otto su 10 criticano il proprio corpo, più del 50% modifica il modo di vestirsi per paura dei giudizi. Ciò avviene perché sei adolescenti su 10 subiscono provocazioni e prese in giro legate a peso, altezza, colore della pelle, capelli etc. La pressione estetica esercitata dai social media ha un impatto fortissimo sulla vita di ragazze e ragazzi: “oltre 7 su 10 riconoscono come i corpi perfetti o ritoccati proposti online siano irreali, ma nonostante questo sempre 7 su 10 vogliono cambiare il proprio aspetto per apparire all’altezza di questi standard di bellezza irraggiungibili”.
Ciò che preoccupa è che all’80% degli adolescenti viene detto costantemente quali sono le cose giuste da fare “per essere maschi e femmine” e 7 su 10 non sanno a chi rivolgersi per dubbi su sesso e relazioni.
Il bisogno di educazione alla sessualità e affettività
“Consenso e piacere” occupa l’interesse per il 32,2% degli intervistati; al secondo posto una guida su come costruire relazioni positive (25,3%); al terzo posto un percorso su orientamenti sessuali e identità di genere” (16,5%); al quarto la richiesta di informazioni su malattie sessualmente trasmissibili (9,8%) e per ultimo una riflessione sugli aspetti biologici della sessualità (5,4%). Sono queste le richieste emerse dalla ricerca ActionAid rispetto a uno dei bisogni emerso con forza negli ultimi anni e al quale il ministero attuale ha dato riscontro.
Da chi vorrebbero ricevere informazioni? Per quasi la metà di ragazze e ragazzi sono gli esperti sul tema (educatori, psicologi, medici…) a dover entrare nelle scuole per fare formazione (48,2%), affiancati da persone che hanno vissuto esperienze personali su questi temi (42,2%). I docenti, col 28,5% delle risposte, sono davanti alla famiglia, che resta al 25,6% di chi ha risposto. Coetanei formati (21%) e influencer affidabili (19,6%) sono al fondo della classifica. Dalle risposte emerge con forza la necessità di affrontare a scuola sessualità, affettività e relazioni anche come prevenzione della violenza (punteggio medio 8,25). È il porno a dare risposte per mancanza di alternative sicure: circa sette su 10 riconoscono che il porno influenza negativamente l’immaginario su relazioni e consenso, evidenziando la necessità di un’educazione come strumento di consapevolezza, non di censura.
La responsabilità della Scuola
Il ministero dell’Istruzione e del Merito ricorda che in base alle nuove norme contro il bullismo introdotte dalla legge 70 del 2024, la scuola ha l’obbligo di chiamare i genitori dei ragazzi coinvolti come autori dei fatti e di attivare le attività educative necessarie nei casi si riscontrino casi di bullismo. Se si registra reiterazione è prevista anche la denuncia alle autorità preposte. Le ispezioni attivate dal ministero nel caso del giovane Paolo avranno proprio lo scopo di verificare se gli episodi di bullismo siano emersi nel contesto scolastico, se i docenti avessero compreso il malessere del ragazzo e l’entità di quanto subito, e se fossero state attivate le misure previste in questi casi dalla nuova normativa.