Ansia da maturità? I consigli dello psicoterapeuta per affrontare al meglio l’Esame di Stato
- 30 Maggio 2025
- Giovani
“E se poi non ce la faccio?” È questa la domanda che rimbalza senza sosta nella testa di quasi mezzo milione di studenti italiani, a meno di un mese dalla prima prova dell’Esame di Stato – il tema d’italiano, fissato per il 18 giugno. Le giornate si accorciano, le notti si fanno più lunghe, e l’ansia inizia a pesare quanto i manuali. A pesare, però, non sono solo le nozioni da memorizzare. Sono le aspettative, i paragoni, il timore di non essere all’altezza. La maturità è la prima vera prova pubblica della vita, e chi ha diciotto anni lo sente: sembra possa decidere tutto. Ma non è così. E serve ricordarlo, forte e chiaro.
Quella del 2025 non è una maturità come le altre. Cambiano le regole, si stringono i criteri, aumentano gli obblighi. Eppure, sotto la superficie di crediti scolastici e requisiti ministeriali, si muove qualcosa di più profondo: un bisogno diffuso di equilibrio, di senso, di respiro. Perché il vero traguardo non è un numero sul diploma, ma la capacità di restare in piedi mentre tutto intorno vacilla.
E allora proviamo a fare chiarezza: cosa cambia davvero quest’anno? Come evitare le trappole più comuni? E soprattutto, come affrontare questa prova senza lasciare che diventi un giudizio sull’intera identità? A rispondere è anche lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione Di.Te., che ha messo nero su bianco dieci consigli utili e lucidi, pensati per chi sta vivendo questo passaggio con la testa in subbuglio e il cuore in affanno. Perché, al netto delle tracce, dei commissari e dei crediti, la vera maturità si gioca dentro.
I nuovi obblighi dell’Esame di Stato
La maturità non è più solo un momento simbolico. È diventata un percorso a ostacoli, fatto di regole rigide, requisiti formali e nuove responsabilità. Per essere ammessi all’Esame di Stato 2025, infatti, non basta “arrivare a giugno”. Occorre aver rispettato una serie di condizioni ben precise. E alcune, per molti, potrebbero rivelarsi determinanti.
Il primo requisito è la frequenza scolastica: almeno tre quarti del monte ore annuale devono essere stati frequentati. Anche le assenze giustificate, se eccessive, possono costare l’ammissione. “Essere presenti” oggi non è solo un dato di fatto: è un criterio legale.
Restano poi obbligatorie le prove Invalsi. Pur non influendo direttamente sul voto finale, rappresentano una condizione vincolante per accedere all’esame. Ma la vera novità è rappresentata dalla condotta: non più solo un voto di contorno, ma un parametro che può spostare pesi decisivi. Chi ha un 6 in comportamento dovrà presentare un elaborato sulla cittadinanza attiva, assegnato dal consiglio di classe, e discuterlo durante il colloquio orale. Non basta. Chi non raggiunge almeno il 9 in condotta rischia di perdere fino a tre punti di credito scolastico, compromettendo le ambizioni di voto massimo o lode. E poi ci sono i PCTO, i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento. Ex alternanza scuola-lavoro, ora obbligatori, con carichi orari precisi: 90 ore per i licei, 150 per gli istituti tecnici, 210 per i professionali. Chi non li ha completati non può sostenere l’esame, indipendentemente dal resto.
A tutto questo si aggiunge il peso dei crediti scolastici, fino a 40 punti, che il consiglio di classe assegna in base a media, comportamento e percorso. Insomma, la selezione inizia prima del banco. E richiede più della semplice preparazione: richiede attenzione costante, presenza e responsabilità.
La trappola dell’ansia da prestazione
Sotto la pressione delle scadenze, delle simulazioni e dei voti, cresce silenziosa una tensione che molti studenti faticano a gestire: l’ansia da prestazione. Non è solo paura dell’esame. È il senso di inadeguatezza, la sensazione di non valere abbastanza, il timore che un errore possa rovinare tutto. E spesso si accompagna a insonnia, crolli emotivi, isolamento.
Lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia invita a cambiare prospettiva. Il primo passo? Accettare l’imperfezione. “Non devi sapere tutto. Non devi essere perfetto. Devi puntare a obiettivi raggiungibili”, scrive nel suo decalogo. L’ansia si alimenta di aspettative irreali. E si disinnesca quando si smette di rincorrere l’ideale e si comincia a fare i conti con il possibile.
Uno dei grandi nemici è il confronto con gli altri. Nell’era dei social, dove tutti sembrano sereni, preparati e in anticipo, è facile sentirsi in ritardo. Ma, ricorda Lavenia, ognuno ha il suo ritmo: “Smettila di guardare cosa fanno gli altri. Il tuo unico confronto è con te stesso”.
Per reggere emotivamente, servono anche gesti concreti: pause vere, non digitali, alimentazione regolare, sonno sufficiente. “Non sei una macchina”, scrive. “E anche le macchine, se non si ricaricano, si spengono”. Dormire poco, mangiare male, restare immobili ore non è dedizione, è sabotaggio.
Un’altra chiave è parlare, uscire dal silenzio, chiedere aiuto. Non solo agli amici, ma anche – se serve – a un professionista. “Dire ‘ho paura’ è coraggio, non debolezza”, scrive Lavenia. Spesso basta poco per sciogliere un nodo che, dentro, sembrava insuperabile.
Infine, c’è un esercizio potente: immaginarsi riuscire. Visualizzare se stessi mentre affrontano l’esame con lucidità, vedersi aprire il foglio, riconoscere una traccia, iniziare a scrivere. Il cervello comincia a credere a ciò che vede. E questa immagine, se coltivata, diventa forza.
La vera maturità comincia qui: nel saper riconoscere le proprie emozioni, affrontarle, attraversarle. Non serve essere invincibili. Serve essere presenti a se stessi.
Pianificazione e metodo: come costruire una strategia di studio efficace
A meno di venti giorni dalla prima prova scritta, la maturità sembra una montagna troppo alta da scalare. Ma non è la quantità a spaventare: è il caos. L’idea vaga di “studiare tutto” è la scorciatoia più sicura verso l’ansia. Quando non c’è un piano, ogni pagina sembra fondamentale, ogni argomento urgente. Il risultato? La paralisi.
E invece, come spiega Giuseppe Lavenia nel suo decalogo, la prima cosa da fare è dare ordine. Non per rigidità, ma per sopravvivenza mentale. Serve un calendario: cosa studiare, quando, per quanto tempo. Un programma realistico, flessibile, ma preciso. Perché “la mente, se vede ordine, respira. Se vede disordine, va in tilt”. E solo quando puoi fidarti del tuo metodo, puoi iniziare a fidarti anche di te.
Ma c’è un nemico più subdolo che si insinua tra i buoni propositi: la procrastinazione. La tentazione di rimandare è fortissima, soprattutto quando lo stress è alto. “Lo faccio dopo”, “comincio domani”, “mi serve prima una pausa”. Ma ogni rinvio moltiplica la fatica. “Rimandare è veleno lento”, scrive Lavenia. Perché il peso di ciò che non fai ti segue ovunque, anche mentre fingi di rilassarti. Iniziare, anche solo con mezz’ora, anche solo con un argomento, è già rompere l’incantesimo.
Poi ci sono quei comportamenti che spesso passano in secondo piano, ma che fanno la differenza tra un ripasso efficace e uno sfinimento inutile. Mangiare, dormire, muoversi. Sono tre pilastri. Senza, la mente collassa. Dormire poco compromette la memoria, mangiare male altera l’umore, l’inattività fisica riduce la concentrazione. “Non si tratta di benessere accessorio”, spiega il terapeuta. “Si tratta di prevenzione del crollo”.
E se studiare tutto insieme non funziona, lo stesso vale per chi pretende di arrivare fino in fondo senza gratificazioni. Festeggiare i piccoli traguardi è essenziale. Hai finito un modulo difficile? Hai scritto un tema intero senza bloccarti? Fermati e riconoscilo. Non aspettare il giorno dell’orale per sentirti bravo. Premiare il percorso, non solo il risultato, è una strategia psicologica potente per non perdere motivazione lungo la strada.
Perché il voto non definisce chi sei
Tra una simulazione andata storta, un confronto social che toglie il fiato e un professore che chiede “sei pronto?”, lo studente smette di vedersi come persona e comincia a pensarsi come un numero. Sessanta, ottantotto, novantacinque: cifre che iniziano a suonare come sentenze. È qui che la maturità rischia di diventare un verdetto. Ma non dovrebbe. Dovrebbe essere un passaggio, non una definizione. Una verifica, non una diagnosi.
Lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia lo dice senza mezzi termini: “Non sei l’esame, non sei un voto. Tu sei molto di più”. Ed è una verità che va detta, ripetuta, scolpita. Perché l’identità di una ragazza o di un ragazzo non si esaurisce in una prova scritta, in una risposta esatta, in un’interrogazione riuscita o meno. E il valore di una persona non può essere ridotto alla media aritmetica delle sue performance.
La posta in gioco, alla fine, è molto più grande di un numero sul diploma. È imparare a riconoscere il proprio valore anche quando non è scritto nero su bianco. Perché la maturità, quella vera, è sapere chi sei. E portarlo con dignità, dentro e oltre la scuola.