La denatalità ha iniziato a colpire le aziende: mancano le persone e le professionalità
- 07/09/2023
- Giovani
La denatalità ha iniziato a colpire le aziende. Meno persone, infatti, significa meno risorse disponibili all’impiego. Negli ultimi dieci anni il numero di giovani tra i 15 e i 34 anni è sceso di quasi un milione, dunque oggi le imprese faticano a trovare le persone necessarie. Un problema destinato ad aumentare, se non si interviene: nel primo quadrimestre del 2023 le nascite sono scese dell’1,1% rispetto allo stesso periodo del 2022, anno che peraltro ha segnato il record minimo di nati in Italia (393mila, per la prima volta sotto la soglia psicologica dei 400mila).
Tra il 2023 e il 2027 serviranno poco meno di tre milioni di lavoratori ‘nuovi’ per sostituire quelli che, secondo le attuali regole, andranno in pensione. E’ la Cgia a lanciare l’allarme, citando le ‘Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2023-2027). Scenari per l’orientamento e la programmazione della formazione’, una stima dei fabbisogni occupazionali fornita dal Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere – Anpal.
Il trend demografico in sostanza peggiorerà lo shortage gap: aumenteranno i flussi pensionistici mentre allo stesso tempo si ridurranno le persone in età lavorativa che dovrebbero sostituire quelle in uscita. L’Istat stima che fino al 2030 la popolazione di 18-58enni diminuirà ad un tasso dell’1% annuo.
Negli ultimi 10 anni, sottolinea l’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, gli under 34 sono diminuiti soprattutto nel Mezzogiorno, con il – 15,1% e 762 mila unità in meno. Poi il Centro con -160 mila (-6,6%), Nordovest (-1%) e Nordest (-0,5%). A livello regionale, maglia nera per la Sardegna con il -19,9%, seguita da Calabria (-19%), Molise (-17,5%), Basilicata (-16,8%) e Sicilia (-15,3%). Tendenza che si conferma a livello provinciale con Sud Sardegna e Oristano che segnano il calo peggiore (rispettivamente 26,9% e -24%). Numeri preoccupanti anche per Isernia (-22,2%) e Cosenza (-19,5%).
Registrano invece un aumento, in controtendenza, Trieste con il +7,9%, Bologna con il +7,5% e Milano con il +7,3%.
Giovani pochi e lontani dal mondo del lavoro
La mancanza di una platea ampia dove andare a pescare il proprio personale non è l’unico problema per le imprese: le aziende faticano anche a trovare le adeguate professionalità. E questo perché l’Italia esprime un alto tasso di disoccupazione giovanile e di abbandono scolastico, soprattutto nel Mezzogiorno. I giovani italiani scontano dunque un livello di povertà educativa molto elevato, senza contare la distanza tra sistema formativo e mondo del lavoro, due universi che dovrebbero parlarsi di più per affrontare le sfide attuali e future.
Basti pensare che, nonostante i miglioramenti registrati, secondo dati Eurostat l’Italia nel 2022 è il quinto Paese europeo con più abbandoni scolastici precoci (11,5%), dopo Romania (15,6%), Spagna (13,9%), Ungheria (12,4%) e Germania (12,2%).
E che in Italia un giovane su cinque è Neet, ovvero non studia, non lavora e non fa formazione (Not in Education, Employment or Training), uno dei dati peggiori in Europa come sottolinea Openpolis – Con i Bambini.
Vanno inoltre considerati gli abbandoni scolastici impliciti, quel fenomeno per cui gli studenti completano la scuola dell’obbligo ma non raggiungono i livelli di competenza e conoscenza previsti. Solo per parlare delle competenze digitali, un’altra indagine Openpolis – Con i Bambini su dati Eurostat sottolinea come la diffusione delle abilità informatiche tra gli adolescenti italiani sia più bassa rispetto ai coetanei della maggior parte dei Paesi Ue e spesso non arrivi a un livello ‘base’.
Trend demografico e mismatch tra domanda e offerta di lavoro hanno importanti conseguenze: secondo le ‘Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2023-2027)’ di Unioncamere, la difficoltà di reperimento del personale nel 2022 ha riguardato il 40% delle assunzioni e ha significato una perdita di valore aggiunto di 37,7 miliardi di euro, pari al 3,1% di quanto generato complessivamente dalle filiere dell’industria e dei servizi inserite nel campo d’osservazione dell’indagine Excelsior.
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