Anziani intelligenti quasi quanto i giovani: perché il gap sta diminuendo?
- 21/05/2024
- Giovani
Si dice che dai vent’anni circa le facoltà mentali inizino a subire un lento ma costante declino. Negli ultimi tempi, però, il gap di intelligenza tra anziani e giovani si è notevolmente ridotto, e non è mai stato così sottile. La domanda sorge spontanea: sono diventati meno intelligenti i giovani o più intelligenti gli anziani?
Le risposte arrivano dallo studio dell’università di Nottingham pubblicato sulla rivista scientifica “Developmental Review” e sul sito “The Conversation”, condotto dallo psicologo Stephen Badham e sono positive: il gap di quoziente intellettivo tra le generazioni si è assottigliato non per un peggioramento delle facoltà dei giovani ma per il miglioramento degli anziani, che ottengono punteggi sempre più alti nei test
Dalla metà del ventesimo secolo a oggi, i test cognitivi hanno rivelato infatti un trend sorprendente: gli anziani ottengono punteggi sempre più alti nei test sul quoziente intellettivo, avvicinandosi a quelli dei più giovani.
Badham ha spiegato: “Ho cominciato a incuriosirmi quando con il mio gruppo abbiamo notato risultati strani in laboratorio. Trovavamo differenze tra le classi di età molto ridotte, oppure assenti. Questo contrastava con le ricerche fatte prima degli anni Duemila”.
Le cause
Lo studio ha coinvolto volontari di diverse fasce d’età, monitorati per un periodo di sette anni. I risultati hanno mostrato miglioramenti significativi nelle aree dell’intelligenza che tendono a beneficiare dell’esperienza e dell’età, come il vocabolario e le abilità linguistiche. Questi miglioramenti sono stati particolarmente evidenti negli individui più anziani.
Mentre la demografia mondiale è in rapida evoluzione, non è facile individuare le cause che hanno portato ad una riduzione del gap. Lo studio precisa che le cause non sono attribuibili a mutazioni genetiche, dato che le generazioni considerate nello studio sono troppo vicine temporalmente perché l’evoluzione giochi un ruolo significativo.
Invece, si ipotizza che i miglioramenti siano dovuti a:
- Cultura: l’accesso all’istruzione di massa ha fornito alle persone strumenti cognitivi più robusti;
- Nutrizione: dieta e salute migliorata contribuiscono al benessere cerebrale;
- Cure mediche: come ampiamente analizzato su queste pagine, i progressi nella medicina hanno aumentato la durata e migliorato la qualità della vita;
- Stimolazione mentale: gli anziani di oggi sono più attivi mentalmente, grazie anche alla tecnologia e ai media.
Il paradosso digitale
Dallo studio di Badham emerge quello che possiamo definire “il paradosso del digitale”: se la scienza è concorde nel ritenere che la eccessiva esposizione allo schermo stia peggiorando la salute mentale dei giovani, pare anche vero che proprio l’uso degli smartphone abbia effetti positivi sulle facoltà mentali dei più anziani.
Negli ultimi anni, sempre più studi dimostrano che la socialità svolge un ruolo fondamentale nella salute delle persone. Impossibile evitare il riferimento all’attuale contesto sociale e demografico: in Ue, e in particolare in Italia, anche a causa della crisi demografica e delle migrazioni interne, ci sono sempre più anziani soli. Nel 2022 il 30,52% degli ultra 65enni italiani viveva da solo e la tendenza è a peggiorare. Per molti di loro, le connessioni digitali rappresentano il più frequente, se non l’unico, mezzo di contatto con i propri cari. Molti nonni vivrebbero molto peggio se non potessero vedere i propri nipoti, fosse anche a distanza.
Un’indagine di Harvard impostata a partire dagli anni Trenta fa luce su questi aspetti. Le informazioni sono oggi archiviate nell’Università di Boston e contengono i dettagli sui partecipanti, dallo stato di salute agli amici, dai test sulle performance intellettuali alle risonanze magnetiche del cervello.
Il risultato è chiaro: i legami personali forti lasciano segni nelle emozioni, nei sentimenti, nel modo di pensare. I professori di Harvard hanno scoperto che le persone più appagate dalla vita sociale avevano un numero maggiore di sinapsi rispetto a quanti erano meno soddisfatti.
Sotto il profilo più “fisico” che “psicologico”, altri studi dimostrano persino la correlazione tra la solitudine e gli elevati livelli di infiammazione cronica presenti in alcuni pazienti. Secondo uno studio del 2014 dell’Università di Chicago, perdere i contatti con gli altri, dopo i cinquant’anni, può essere letale due volte di più dell’obesità.
Insomma, digitale croce e delizia. Ciò che va senz’altro perseguito ai fini di una migliore salute fisica e mentale dei giovani è l’eccessivo utilizzo di smartphone e social, come stanno provando a fare diverse inziative in Europa e non solo.
Ricadute sulla silver economy
Lo studio di Stephen Badham apre la strada a una nuova comprensione dell’invecchiamento e della demografia, specialmente per una popolazione sempre più anziana come quella italiana.
La crisi demografica obbliga a cercare soluzioni su più cambi: mentre si cerca di invertire il trend della denatalità, occorre assegnare un nuovo ruolo agli anziani nella società, come già avviene in altre parti del Mondo. Esemplare il caso dell’isola di Okinawa, dove gli anziani non sono un “peso sociale”, ma contribuiscono alla ricchezza sociale ed economica del posto sfruttando le proprie capacità.
L’Italia, che conta un over 65 ogni quattro abitanti (dati Istat), è prima nelle classifiche Ue per aspettativa di vita, non accompagnata, però, da un’aspettativa di buona salute. Sono circa 3 milioni e 860mila (28,4%) gli over 65 con gravi difficoltà nelle attività funzionali di base. Secondo l’Osservatorio Sanità UniSalute, realizzato in collaborazione con Nomisma, il 40% degli italiani, cioè oltre 17 milioni di persone tra i 18 e i 75 anni, soffre di almeno una patologia cronica.
E all’aumentare degli anni, aumentano le difficoltà. In prospettiva, dunque, il numero di non autosufficienti crescerà. Un fenomeno da affrontare, tenendo conto che già nel 2021 la spesa pubblica per il Long Term Care ha richiesto l’1,9% del Pil (33,73 miliardi), di cui il 73,6% per soggetti con più di 65 anni. Per i prossimi anni, si prevede un aumento della spesa pensionistica, sanitaria e assistenziale.
Con la crisi demografica che avanza e mette a repentaglio il welfare, occorre dunque una strategia per incanalare la ricchezza degli anziani in maniera efficiente anche per sostenere la sanità pubblica, in grave affanno.
Secondo uno studio Swg, gli over 70 in Italia detengono una quota consistente della ricchezza complessiva del Paese rappresentandone il 30% dei consumi annuali (220 miliardi) e più del 30% del patrimonio di ricchezza complessivo (3.200 miliardi). Diventa fondamentale integrarli laddove possibile e rispondere alla crescente domanda di beni e servizi crescente, diversificata e sempre più significativa, della silver economy. Questo settore ha un valore in Italia stimato, tra Pil diretto, indiretto e indotto, di circa 620 miliardi di euro.
Lo studio di Stephen Badham offre un nuovo e più roseo scenario sulla possibilità di impiegare e coinvolgere gli anziani nella società, grazie al miglioramento delle loro capacità intellettive. Un progresso che l’Italia non può ignorare.
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