Rompe un uovo in testa alla figlia in un video TikTok, madre svedese condannata per molestie
Una madre svedese è stata condannata per aver rotto un uovo crudo in testa alla figlia di cinque anni in diretta su TikTok. Nel 2023 infatti spopolava una delle tante mode e sfide che emergono continuamente sul social cinese: la Egg Crack Challenge, che prevedeva che l’influencer, o aspirante tale di turno, si riprendesse mentre cucinava col proprio bambino o bambina, per poi rompere improvvisamente l’uovo sulla testa del minore e filmarne la reazione. Tra le ‘vittime’ qualcuno era divertito, ma la maggior parte rimaneva sorpresa o infastidita.
Cosa è successo: perché la madre è stata condannata
Proprio per questo la donna è stata condannata dal tribunale distrettuale di Helsingborg a pagare una multa e risarcire la figlia, che non aveva gradito quella che può essere vista – e percepita – come una umiliazione. Il meccanismo alla base della Egg Crack Challenge, infatti, è simile a tante altre sfide in cui vengono coinvolti i minori: quello che si cerca, per poi mostrarlo pubblicamente a migliaia di spettatori, è proprio la sorpresa del bambino, la sua reazione sconcertata e spesso buffa, il tutto per attrarre like e views.
Ma il concetto di buffo travalica velocemente nella presa in giro e nell’umiliazione, senza contare che il bambino, di solito molto piccolo, viene colto senza preavviso e senza nemmeno sapere il perché del gesto. Ne è un esempio proprio la figlia della donna condannata, che è rimasta confusa e ha detto alla madre che le aveva fatto male, chiedendole di smettere. Ma il video è stato comunque pubblicato dalla 24enne, raccogliendo oltre 100mila visualizzazioni e finendo segnalato. Da qui l’intervento della giudice, che ha ritenuto che l’episodio avesse disturbato il benessere della bambina, anche se questa non aveva subito lesioni fisiche.
Come riportato da BBC News e The Guardian, la procuratrice Cecilia Andersson ha sottolineato che il danno più grave è stato alla dignità del minore: “Non è accettabile umiliare un bambino, soprattutto diffondendo il video a un vasto pubblico”.
All’accusa di molestie la giovane madre si è difesa sostenendo che ‘così fan tutti’ su TikTok, ma non ha convinto. Ora dovrà pagare 20mila corone svedesi, circa 2mila euro, alla figlia. Ma soprattutto, probabilmente, dovrà ricostruire con questa un rapporto di fiducia.
Dallo sharenting alla strumentalizzazione: un problema complesso
Quello che a prima vista può sembrare un caso banale e circoscritto si inserisce invece in una questione molto più ampia e urgente: l’esposizione dei minori sui social media. Anche genitori senza particolari ambizioni da influencer spesso condividono immagini e video dei propri figli senza riflettere sui pericoli e sulle conseguenze psicologiche delle condivisioni, oltre che sui possibili risvolti legali, in un fenomeno noto come sharenting. La situazione si aggrava quando i bambini vengono deliberatamente strumentalizzati da genitori aspiranti influencer per ottenere click, visualizzazioni e follower.
I rischi dello sharenting
Ma quali sono i rischi di esporre i propri figli e in generale i bambini sui social? Diciamo subito che sono tanti e coinvolgono vari ambiti, per questo è bene che i genitori ne siano consapevoli:
Aspetti legali ed etici
• Privacy e sicurezza dei dati: la condivisione di immagini e informazioni personali dei minori, spesso senza il loro consenso, può comprometterne la riservatezza, esponendoli a rischi come il furto d’identità o l’uso improprio dei dati da parte di terzi. Piattaforme come TikTok sono state più volte criticate per la raccolta di dati sensibili sui minori.
• Consenso e diritti del minore: la condivisione di contenuti riguardanti i più piccoli solleva poi questioni legali relative al consenso e al diritto alla privacy, con implicazioni etiche significative, tra le quali la compromissione del diritto all’oblio e alla costruzione autonoma dell’identità digitale.
• Responsabilità genitoriale: i genitori hanno la responsabilità di proteggere la privacy e il benessere dei propri figli, evitando esposizioni non necessarie o potenzialmente dannose.
Benessere mentale e sviluppo psicologico
• Costruzione dell’identità disturbata: nei primi anni di vita, l’identità si sviluppa attraverso l’interazione con l’ambiente reale e affettivo. Se un bambino cresce sapendo (o poi scoprendo) che la sua immagine è stata esposta pubblicamente — magari anche con contenuti intimi o umilianti — può sviluppare un senso di identità imposta: si parla in questo caso di ‘identità digitale precoce’ non scelta, che può generare dissonanza tra chi il bambino si sente di essere e ciò che “appare” online.
• Sviluppo della percezione di sé influenzato dall’esterno: i bambini che vengono regolarmente filmati, fotografati e mostrati possono interiorizzare l’idea di essere sempre osservati e valutati. Alcuni esperti parlano di “effetto Truman Show”: il minore cresce in un contesto dove è “personaggio” più che persona.
• Risposta emotiva condizionata: i bambini possono sviluppare comportamenti orientati alla fotocamera per ottenere approvazione, cercando di compiacere i genitori o “fare scena” per ricevere attenzione. Questo può generare iper-adattamento, ansia da performance o al contrario rifiuto di esporsi, influenzando lo sviluppo emotivo.
• Relazione genitore-figlio compromessa: quando i genitori privilegiano contenuti virali a fini di approvazione sociale o monetizzazione e a scapito della sensibilità del bambino, il figlio può interiorizzare che l’amore dipende dalla sua “resa online” e non da chi è veramente.
• Rischio di umiliazione futura: contenuti che oggi sembrano innocui (es. pannolini, crisi di pianto, momenti imbarazzanti) possono essere percepiti in età più avanzata come umilianti, generando vergogna, rabbia e sfiducia verso la figura genitoriale. In adolescenza, inoltre, ciò può tradursi in disagio sociale, ansia e problematiche legate alla reputazione (es. bullismo scolastico legato a vecchi video).
Minacce concrete alla sicurezza
Rilevanti anche gli aspetti legati alla sicurezza del minore:
• I bambini possono essere bersaglio di cyberbullismo, commenti offensivi e molestie online.
• L’esposizione può attirare l’attenzione di pedofili, che utilizzano contenuti social per raccogliere materiale o individuare potenziali vittime.
• Alcune challenge virali pericolose, come la Blackout Challenge che ha causato la morte a 10 anni della palermitana Antonella Sicomero nel 2021, sono l’estremo di un ecosistema in cui lo “shock value” viene premiato a discapito della sicurezza.
Cosa possono fare i genitori?
I genitori devono adottare un approccio molto più consapevole e prudente. In primo luogo, è essenziale limitare la condivisione pubblica di contenuti che riguardano i propri figli, evitando immagini in momenti intimi, vulnerabili o facilmente identificabili (nome, scuola o posizione). Ogni contenuto dovrebbe rispettare il principio del “consenso implicito futuro”, cioè è sempre bene chiedersi se, una volta cresciuto, il bambino si sentirebbe rispettato da quella pubblicazione.
È inoltre importante impostare elevati livelli di privacy sui profili social, scegliere piattaforme affidabili e verificare le loro politiche in materia di trattamento dei dati dei minori. Parallelamente, va educato il bambino al concetto di identità digitale, coinvolgendolo progressivamente nelle scelte che riguardano la sua immagine. Infine, è fondamentale coltivare una relazione fondata sull’ascolto e sul rispetto, evitando ogni forma di strumentalizzazione dell’immagine del figlio per ottenere approvazione o visibilità online.