Demografia problema della Gen Z, Furio Camillo: “Troppo pochi, non li sente nessuno”
- 10/11/2023
- Giovani
Viziati, aggressivi, svogliati. Della Gen Z si dice tanto, ma si approfondisce ben poco. Ne abbiamo parlato allo IAB Forum di Milano con Furio Camillo, Professore di Business Statistics presso l’Università di Bologna e Direttore Scientifico di Webboh Lab, il primo hub di ricerca su giovani e adolescenti italiani, un punto di osservazione privilegiato sulla Generazione Z.
O forse meglio dire sulle Generazioni Z.
Già, perché un primo mito da sfatare è che questi ragazzi e ragazze siano tutti uguali, con i medesimi interessi e le stesse abitudini, mentre, in realtà, “La Generazione Z non è un monolite” per dirla con le parole del prof. Camillo.
Più nel dettaglio, la ricerca di Webboh Lab evidenzia la presenza di cinque profili di users: il Meme Maestro, che rappresenta il 40% dei giovani intervistati, il Creative Explorer (18%), il Like Lover (17%), il Social Soul (14%) e il Digital Dreamer (11%).
La categoria più rappresentata, quella del Meme Maestro, utilizza i social media principalmente con finalità di intrattenimento, e qui nascono i primi fraintendimenti.
Spesso, infatti, si associa l’intrattenimento a qualcosa di superficiale, di puro divertimento, ma per i giovani della Gen Z non è così: “Certo che l’intrattenimento è caratterizzato dagli aspetti ludici – spiega il prof. Camillo ai nostri microfoni – ma per loro c’è anche molto insegnamento. D’altronde qual era la grandezza dei film di Charlie Chaplin? Riuscire ad educare pur essendo ludici. In questo senso l’intrattenimento è qualcosa che permette ai giovanissimi di esplorare il mondo che li circonda”.
Un primo passo da fare verso i più giovani è quindi quello di non demonizzare le loro abitudini e la loro voglia di divertirsi, “per gli antichi romani l’intrattenimento erano i duelli nel Colosseo, le finte battaglie navali, e così via”, ricorda ancora Camillo. Al contrario, ciò che deve preoccupare sono i limiti all’utilizzo dei social che spesso sono troppo aleatori o facilmente raggirabili.
“Serve attenzione nel vigilare i contenuti che intrattengono, perché se il contenuto che intrattiene è il suicidio in diretta, allora questo non va bene. Il mio richiamo personale come docente, padre, cittadino, è quello di fare attenzione perché ci vorrebbe un po’ più di progettazione sociale, che oggi manca totalmente”. Il compito di controllare e limitare l’utilizzo dei social media viene lasciato alle aziende “che – evidenzia il professore – ci mettono la faccia, ci mettono le energie, ma ovviamente hanno sempre degli obiettivi di mercato da raggiungere”.
Il conflitto generazionale
Il fraintendimento sull’utilizzo dei social media fa parte di una dinamica più grande, che da sempre caratterizza l’essere umano: “è chiaro che la generazione dominante, quella che governa in quel momento la società, vede gli strumenti nuovi con cui le generazioni nuove si informano, viaggiano, conoscono, si intrattengono e addirittura studiano, come qualcosa di negativo”, dice il direttore scientifico di Webboh Lab. “Ogni generazione odia quella che viene dopo” direbbe il rapper Salmo. Forme a parte, la sostanza non cambia: il conflitto generazionale caratterizza la storia dell’umanità, ma, a differenza di chi è venuto prima, la Gen Z deve affrontarlo in piena crisi demografica.
La demografia della Gen Z: meno giovani, meno eco
“Ci sono ricerche molto interessanti di alcuni demografi del nord Europa che dicono che la generazione mia, quella dei boomer, è riuscita a mettere in piedi diverse tendenze, diversi movimenti che poi hanno permeato la società. Questo era possibile per una semplice ragione: noi eravamo tanti. Non a caso siamo chiamati ‘boomer’. Abbiamo vissuto la nostra gioventù in un periodo di pieno ottimismo, dove al boom economico si accompagnava il boom demografico”, spiega ancora il prof. Furio Camillo.
Alle nuove generazioni spesso si rimprovera di avere pochi ideali e poche idee, ma alla base c’è un tema ampiamente sottovalutato: “Il problema di questi giovani è che sono molto pochi nelle società occidentali. La questione demografica fa sì che loro voce conti o si senta poco. Se a questo aggiungiamo che quelli che votano sono pochissimi, perché questa generazione non si sente parte integrante della società, il quadro è completo”, aggiunge.
Insomma, una generazione che si affida agli influencer, ma che non riesce ad essere influente.
D’altronde, i numeri del rapporto Istat “Previsioni popolazione e famiglie-Base 1° gennaio 2022” sono eclatanti. Nei prossimi trent’anni, la popolazione di 15-64 anni dovrebbe scendere al 54,3% in base allo scenario mediano, con una forbice potenziale compresa tra il 53,2% e il 55,4% in base al margine di errore. Al contrario, la popolazione over 65, oggi pari a circa il 24% del totale, potrebbe rappresentare il 34,5% della popolazione italiana nel 2050. Su questi dati incidono soprattutto il calo delle nascite e, in minor misura, l’aumento della speranza di vita favorito dall’avanzamento medico-scientifico.
È chiaro come uno scenario dove oltre un cittadino su tre ha almeno 65 anni necessiti di investimenti e politiche massicce per contrastare la denatalità. Gli oltre 8 milioni di emigrati, in gran parte giovani, dimostrano che bisogna anche intervenire per rendere l’Italia più attraente per le nuove generazioni, chiave di volta del futuro demografico del Paese.
“Altro che bloccare i barconi, abbiamo bisogno di barconi e ne abbiamo bisogno di tanti, altrimenti il sistema non regge”, afferma il direttore scientifico di Webboh Lab che però evidenzia un aspetto curioso, sottolineato anche dalla Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Roccella qualche settimana fa: persino gli immigrati stanno prendendo le abitudini degli italiani e stanno facendo meno figli di prima.
Le difficoltà sociali e storiche sulle spalle della Gen Z
Questi giovanissimi, nati tra il 1997 e il 2012, rappresentano una generazione che è stata sconvolta più volta nelle fasi dell’infanzia e dell’adolescenza, cruciali per la formazione dell’individuo. Il rapido cambiamento della società, sempre più individualista e competitiva, ha fatto sì che restassero molto tempo da soli nel momento della crescita. Non hanno scelto loro di crescere attaccati a uno schermo, ma le dinamiche sociali o, più raramente, i genitori irresponsabili.
In molti contesti, nessuno dei due genitori ha modo di passare molto tempo con i figli perché entrambi devono lavorare. Il risultato è che questi giovanissimi soffrono o la povertà affettiva o quella economica. Quando va male, le soffrono entrambe. Una tendenza che si riflette anche sull’infanzia che è più in difficoltà oggi che nel 1946, come avverte Paolo Rozera, direttore generale di Unicef Italia.
In questo contesto sociale già molto complesso, il Covid ha dato inizio a un periodo storico devastante per i più giovani, che dopo due anni di pandemia hanno dovuto subire la paura per una guerra scoppiata alle porte dell’Europa e il ritorno della minaccia terroristica, detonata dal conflitto in Medio Oriente.
La disillusione di una generazione
Tutti questi elementi rendono la Generazione Z sempre più disillusa, tanto che persino la sostenibilità è oggi meno presente nelle priorità dei giovanissimi. “Percepiscono l’insicurezza che aumenta nelle nostre società. Quando sentono i propri genitori o nonni preoccuparsi perché forse non vedranno mai la pensione, è chiaro che anche in questi giovanissimi cresca un enorme senso di incertezza”, spiega il professor Camillo.
È come se sentissero di aver già perso le battaglie che vogliono portare avanti, o, comunque, di non poterle più vincere.
Una disillusione che si rivela anche nel lessico di questa generazione. “Utilizzano spesso frasi come ‘Quello ce l’ha fatta; forse ce la facciamo’”, spiega ancora il professore, che osserva: “Se fanno così tanto riferimento al concetto di ‘farcela’, è perché avvertono molti ostacoli nel loro percorso. Cominciamo a eliminare le difficoltà che ci sono attorno a questi giovani, la loro vita non può essere una continua corsa a ostacoli”.
“In occasione del concerto del Primo Maggio di cui Webboh era community di riferimento, abbiamo chiesto ai ragazzi quali siano i lavori che preferiscono. Anche qui, a differenza di quanto si tende a pensare, sono emerse molte differenze tra i giovani, pieni di sogni diversi e di aspirazioni.
Però – conclude il professor Camillo – bisogna fare attenzione perché in giro c’è troppa competizione”.
Una situazione che costringe questi giovanissimi a fare i conti con gli altri, senza ancora aver avuto né tempo né modo di conoscere sé stessi.
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