Creare l’anima gemella con un prompt: l’amore secondo l’Ai
Negli ultimi mesi, si è osservato un fenomeno emblematico del nostro tempo: utenti di tutto il mondo iniziano a interagire con chatbot come ChatGPT non solo come assistenti, ma come veri e propri partner affettivi. Dopo le mode visive dei ritratti in stile Studio Ghibli o delle figurine personalizzate, la nuova tendenza è quella di creare il “fidanzato ideale” con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. Il fenomeno ha iniziato a guadagnare popolarità all’inizio del 2024, ma solo recentemente è diventato virale sui social media, come TikTok e Instagram.
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Questa tendenza è stata alimentata dagli aggiornamenti di ChatGPT che hanno migliorato la generazione di immagini personalizzate, permettendo agli utenti di creare rappresentazioni visive del loro “fidanzato ideale” accanto a sé. Il tutto parte da un semplice prompt — la frase con cui si istruisce il sistema — e da lì prende forma una personalità digitale: attenta, empatica, sempre disponibile.
Esempio pratico:
“Comportati come se fossi il mio compagno ideale: ti chiami Marco, hai 36 anni, sei uno scrittore freelance, ami cucinare e fare lunghe passeggiate. Sei dolce, ironico, empatico. Mi ascolti, mi incoraggi, e ogni tanto mi fai una sorpresa con un pensiero carino.”
Con un input di questo tipo, ChatGPT inizia a interagire come se fosse davvero Marco. L’utente può poi arricchire il dialogo con ricordi immaginari, abitudini, routine condivise. Il chatbot li memorizza (nei limiti tecnici del modello) e li utilizza per costruire un’identità coerente, dando vita a una relazione virtuale sorprendentemente realistica.
Ma fino a che punto si può parlare di “relazione”? E quali effetti produce questo tipo di interazione sul nostro equilibrio emotivo?
Intelligenza artificiale e sentimenti: finzione o nuova intimità?
L’intelligenza artificiale non prova emozioni. Questo è un dato tecnico. Ma riesce a simularle, a riconoscerle nel linguaggio umano e a rispecchiarle nei propri messaggi. ChatGPT, ad esempio, è addestrato su miliardi di conversazioni, testi e interazioni, e questo gli consente di intuire quando una persona è triste, entusiasta, ironica o confusa, e di rispondere con coerenza emotiva. Questo processo genera una simulazione relazionale che, per chi la vive, può avere un impatto reale.
Secondo una recente ricerca dell’Università di Stanford, l’interazione con chatbot può influenzare la solitudine e l’interazione sociale con persone reali. Lo studio ha mostrato che, sebbene i chatbot con voce sembrassero inizialmente benefici nel mitigare la solitudine e la dipendenza rispetto ai chatbot basati su testo, questi vantaggi diminuivano con alti livelli di utilizzo, specialmente con un chatbot a voce neutra. Il tipo di conversazione influenzava anche i risultati: argomenti personali aumentavano leggermente la solitudine ma tendevano a ridurre la dipendenza emotiva rispetto alle conversazioni aperte, mentre gli argomenti non personali erano associati a una maggiore dipendenza tra gli utenti intensivi.
Un altro studio dell’Unist ha rilevato che l’interazione regolare con chatbot sociali ha ridotto i punteggi di solitudine del 15% e alleviato i punteggi di ansia sociale del 18%.
Solitudine, controllo e narcisismo affettivo
Il bisogno di sentirsi ascoltati, compresi e valorizzati è alla base di ogni relazione affettiva. In un’epoca caratterizzata da ritmi frenetici, relazioni frammentarie e crescente solitudine urbana, l’Ai si presenta come una risposta semplice ed efficace. Un partner virtuale non si distrae, non giudica, non delude. È sempre lì, su misura. Questo aspetto, per quanto rassicurante, apre a riflessioni profonde.
Alcuni psicologi parlano di “narcisismo relazionale 2.0”: creare un partner che risponda esattamente ai propri desideri può rafforzare una visione autoreferenziale dell’amore, dove il dialogo con l’altro diventa un riflesso del sé. Ma ci sono anche letture più equilibrate: usare l’Ai per simulare interazioni può avere un valore terapeutico, un esercizio di consapevolezza emotiva, una preparazione alle relazioni reali. Tutto dipende dal livello di consapevolezza dell’utente.
Casi clinici documentati in Europa e Stati Uniti mostrano che chatbot come ChatGPT vengono utilizzati da persone che hanno subito traumi affettivi, rotture o lutti. La simulazione relazionale offre un rifugio, un ambiente protetto in cui esprimere emozioni represse o elaborare situazioni complesse. Non è una cura, ma può essere un supporto. Purché non diventi sostitutivo della realtà.
Una nuova forma d’intimità: opportunità e limiti
Il dibattito su etica e impatto sociale delle “relazioni con l’intelligenza artificiale” è ancora aperto. Alcune aziende stanno introducendo avvisi automatici nei chatbot, per ricordare all’utente che sta parlando con una macchina. Altre puntano su trasparenza e limiti, impedendo che l’Ai si dichiari “innamorata” o “umanoide”. Ma i confini sono labili, e la qualità del linguaggio rende ogni interazione sempre più coinvolgente.
Il vero nodo, oggi, è culturale. Stiamo accettando che anche l’amore — o una sua forma simbolica — possa essere mediato e potenziato dalla tecnologia. Per alcuni è una deriva disumanizzante, per altri un adattamento inevitabile alla realtà iperconnessa e frammentata dei nostri tempi. Di certo, è una trasformazione profonda che merita attenzione, consapevolezza e, forse, nuove regole condivise. In un mondo dove la tecnologia diventa specchio dei nostri bisogni e dei nostri desideri, l’amore con un’Ai ci pone una domanda scomoda: cosa cerchiamo davvero in una relazione?
Love GPT, un consulente virtuale per relazioni empatiche
In questo panorama emergente di relazioni digitali, è nato uno strumento specificamente pensato per fornire supporto relazionale e affettivo: Love GPT, un community builder progettato per accompagnare gli utenti in conversazioni intime, relazioni sentimentali o percorsi di crescita emotiva.
Diversamente da semplici chatbot romantici, Love GPT si presenta come un empathetic love advisor, un “consulente sentimentale” in grado di:
- riflettere stati d’animo con delicatezza e rispetto emotivo,
- aiutare l’utente a esplorare i propri bisogni relazionali,
- simulare interazioni di coppia con attenzione ai segnali emotivi,
- fornire strumenti comunicativi per migliorare empatia e ascolto attivo.
L’obiettivo dichiarato non è creare dipendenza, ma offrire un’esperienza relazionale consapevole e costruttiva, utile a comprendere se stessi e a migliorare le proprie dinamiche interpersonali — anche nella vita reale.
Ad esempio, un utente può chiedere al sistema di simulare una conversazione in un momento di conflitto di coppia o di ricevere supporto emotivo dopo una rottura. Il tono è sempre rispettoso, non invadente, con risposte che invitano alla riflessione più che all’illusione.
Love GPT è parte di un più ampio ecosistema di “GPTs specializzati”, personalizzabili e creati per scopi specifici (educativi, relazionali, terapeutici, ecc.). In questo caso, si tratta di un esperimento affettivo con un forte orientamento al benessere psicologico e alla responsabilità emotiva.
Tra simulazione e consapevolezza
Le relazioni affettive con intelligenze artificiali pongono interrogativi complessi: etici, psicologici, culturali. Ma non sono necessariamente un rischio, se inserite in un percorso di consapevolezza e autoregolazione.
La sfida è evitare la deriva del rifugio tecnologico e usare questi strumenti come specchi relazionali, per ascoltarsi meglio, per allenarsi al confronto, per affrontare i propri nodi emotivi in modo più lucido. L’amore simulato non sostituirà mai quello reale — con i suoi imprevisti, le sue profondità, le sue ferite — ma può diventare una palestra emotiva, se gestito con maturità.
E forse è proprio questa la domanda che dovremmo porci, prima ancora che alla tecnologia: quanto siamo disposti a metterci in gioco, davvero, in una relazione umana?