Uno strumento del 1845 è ancora standard in ginecologia (ma ora un prototipo lo mette in discussione)
- 31 Luglio 2025
- Fertilità
È presente in ogni ambulatorio ginecologico, usato ogni giorno in milioni di visite in tutto il mondo. Lo speculum vaginale è uno strumento standard per visualizzare la cervice uterina, raccogliere campioni per Pap test e screening Hpv, esaminare infezioni o irregolarità. Ma nonostante il suo impiego sia essenziale, la sua forma, percezione e impatto sulla paziente sono rimasti sostanzialmente invariati da quasi due secoli.
E proprio quella forma – due lame che si aprono come un becco, in metallo o plastica dura – rappresenta oggi un ostacolo. Studi e sondaggi indicano che tra il 30 e il 35% delle donne prova dolore, disagio o vergogna durante l’uso dello speculum. Un numero che non è solo un problema esperienziale, ma un fattore di rischio sanitario: la percezione negativa scoraggia la regolarità dei controlli, con possibili ricadute sulla diagnosi precoce di patologie anche gravi.
Quando è il dispositivo stesso a generare il problema
Che il problema non sia solo nella pratica clinica ma nell’oggetto stesso lo dimostra un progetto portato avanti da due ingegnere dell’Università di Delft, nei Paesi Bassi. Il loro punto di partenza: il design dello speculum Cusco – oggi il più diffuso a livello globale – non è cambiato da quando è stato introdotto nel 1845. Forma a leva, corpo rigido, sensazione di freddo, apertura meccanica: tutto nel dispositivo richiama una logica di pura funzionalità medica, ma ignora la componente percettiva e psicologica della paziente.
Il risultato del lavoro è un prototipo chiamato Lilium, realizzato in gomma termoplastica medicale semi-flessibile, con una struttura a tre petali che si aprono delicatamente tramite un applicatore. Un cambio netto rispetto al design tradizionale: niente leve, niente viti, niente forma da “pinza chirurgica”.
Lilium consente l’inserimento sia da parte del personale sanitario sia – opzionalmente – dalla paziente stessa, con un meccanismo simile a quello degli applicatori per tamponi. L’obiettivo non è solo ridurre il dolore fisico, ma intervenire anche sull’aspetto emotivo e sul senso di controllo durante l’esame.
Test preliminari condotti su modelli anatomici da operatori sanitari e feedback raccolti da un piccolo gruppo di pazienti volontarie indicano miglioramenti nella visibilità della cervice, soprattutto in casi complessi (ad esempio, donne con pareti vaginali prolassate), oltre a una maggiore tollerabilità dell’inserimento.
L’impatto invisibile dello speculum
Lo speculum è un oggetto medico che raramente viene discusso fuori dagli ambienti clinici, ma che incide profondamente sull’esperienza sanitaria di metà della popolazione. La sua forma attuale riflette un’impostazione storica della medicina in cui il comfort della paziente era secondario. Alcune ricostruzioni storiche attribuiscono una delle prime versioni moderne del dispositivo a James Marion Sims, medico americano dell’Ottocento che lo sperimentò su donne afroamericane ridotte in schiavitù, senza anestesia né consenso.
Oggi, la questione è ancora legata a un concetto di medicina centrata sull’intervento, più che sulla persona. Lo speculum, pur indispensabile in molti esami ginecologici, resta per molte un motivo sufficiente per evitare il ginecologo. Il dato rilevante non è solo l’alto tasso di disagio associato, ma la sua conseguenza: visite saltate, screening ritardati, prevenzione compromessa.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il tumore alla cervice uterina è il quarto per incidenza tra le donne nel mondo. La sua prevenzione si basa su controlli periodici e test di screening. Se il dispositivo attraverso cui questi test vengono eseguiti scoraggia una parte significativa della popolazione, il danno non è solo individuale, ma sistemico.
Lilium, per ora, è solo un prototipo: non è stato ancora testato su pazienti reali né ha completato il percorso di certificazione per l’uso clinico. Ma il suo impatto simbolico è già chiaro. La campagna di raccolta fondi avviata per finanziare le fasi successive ha raccolto oltre 100.000 euro in due giorni, a dimostrazione che il problema non riguarda solo una nicchia di persone.