Sindrome dell’ovaio policistico, 7 donne su 10 restano senza diagnosi
- 17 Settembre 2025
- Fertilità
Cicli mestruali irregolari o assenti, acne che resiste a qualsiasi trattamento, crescita di peli sul viso, capelli che si diradano e difficoltà a concepire. Segnali che spesso vengono liquidati come fastidi passeggeri, ma che in realtà possono indicare la presenza della sindrome dell’ovaio policistico (Pcos). Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ne soffre dal 6% al 13% delle donne in età fertile. Eppure, sette casi su dieci non vengono diagnosticati. Un paradosso che pesa sulla salute femminile e che spiega perché ogni settembre, mese internazionale di sensibilizzazione, associazioni di pazienti e comunità scientifica tornano a chiedere maggiore attenzione.
La Pcos non è un disturbo raro né marginale: è un problema cronico che accompagna le donne dalla pubertà alla menopausa, con conseguenze che vanno ben oltre la fertilità. E, a oggi, non esiste una cura definitiva.
Un disturbo ormonale che inizia presto e non si risolve
“La sindrome dell’ovaio policistico si manifesta durante l’adolescenza – spiega il dott. Marco Grassi, ginecologo dell’Ospedale ‘C. e G. Mazzoni’ di Ascoli Piceno –. È un disturbo ormonale cronico che non può essere curato, ma solo gestito”. Dietro questo inquadramento apparentemente semplice, si nasconde una condizione complessa, che coinvolge metabolismo, ormoni e sistema riproduttivo. Gli squilibri ormonali tipici della Pcos portano a una produzione eccessiva di androgeni, ormoni maschili che si traducono in acne, irsutismo o caduta dei capelli. A livello ovarico, si sviluppano numerosi follicoli che non maturano correttamente, rendendo difficile o impossibile l’ovulazione.
La conseguenza più evidente riguarda la fertilità: le donne con la sindrome dell’ovaio policistico hanno maggiori difficoltà a concepire. Ma non è solo questo il punto. I meccanismi alla base della sindrome sono ancora oggetto di studio: alterazioni metaboliche, predisposizione genetica e fattori ambientali sembrano alimentare un circolo vizioso che mantiene attiva la condizione. Sovrappeso e obesità aggravano i sintomi e aumentano il rischio di complicazioni, mentre anche donne normopeso possono sviluppare la sindrome, smentendo l’idea che sia legata solo allo stile di vita.
Le diagnosi tardive, o del tutto assenti, fanno sì che molte ragazze convivano per anni con sintomi invalidanti senza sapere di avere una condizione cronica. La percezione sociale e medica di irregolarità mestruali o acne come “problemi da poco” contribuisce a sottovalutare segnali che dovrebbero invece spingere a una valutazione ginecologica tempestiva.
I campanelli d’allarme e la difficoltà della diagnosi
La sindrome dell’ovaio policistico è subdola anche perché si presenta in modo diverso da donna a donna. Alcune hanno cicli mestruali assenti o molto distanziati, altre soffrono soprattutto di acne persistente o di un’eccessiva crescita di peli in aree “maschili” come mento, torace e addome. Nei casi di sovrappeso i sintomi tendono a essere più marcati, ma non mancano pazienti con peso nella norma che mostrano comunque un quadro clinico significativo.
Per arrivare a una diagnosi, i medici si basano su criteri ben definiti: cicli irregolari o assenti, eccesso di androgeni (rilevabile attraverso sintomi o analisi del sangue) e presenza di ovaie policistiche visibili all’ecografia. È sufficiente che si manifestino almeno due di questi elementi perché la Pcos venga considerata probabile. “Gli esami del sangue – spiega ancora il dott. Grassi – aiutano a identificare alterazioni ormonali caratteristiche, come l’aumento dei livelli di testosterone, che regola la crescita dei capelli, di estrogeni, che stimolano l’endometrio, dell’ ormone luteinizzante (LH), fondamentale per l’ovulazione, dell’insulina, coinvolta nel metabolismo energetico, e dell’ormone antimulleriano, indicatore della riserva ovarica”.
Il problema è che molte donne arrivano a questi accertamenti solo dopo anni di sintomi, spesso quando cercano una gravidanza senza successo. La mancanza di una diagnosi precoce priva le pazienti della possibilità di gestire meglio i rischi associati alla Pcos, che non riguardano solo la sfera riproduttiva. Tra le complicanze più frequenti vi sono diabete di tipo 2, ipertensione, colesterolo alto, malattie cardiovascolari e, in alcuni casi, tumore dell’endometrio. Un carico che si somma agli effetti psicologici della sindrome: ansia, depressione e percezione negativa del corpo sono condizioni molto diffuse tra le donne con PCOS.
Gestione, non guarigione
Non esistono farmaci o interventi in grado di eliminare la sindrome dell’ovaio policistico. Le strategie terapeutiche puntano a controllare i sintomi e ridurre i rischi a lungo termine, adattandosi alle esigenze di ciascuna paziente. “Nelle donne che non desiderano una gravidanza – chiarisce Grassi – si prescrive di solito una terapia ormonale a base di estrogeni e progestinici, per ridurre gli androgeni circolanti e regolarizzare i cicli mestruali”. A questa si possono associare antiandrogeni come spironolattone o ciproterone acetato, utili per attenuare acne e irsutismo.
Negli ultimi anni si è diffuso anche l’uso dell’inositolo, una sostanza naturale che favorisce l’ovulazione e migliora i parametri metabolici. Non è una panacea, ma rappresenta un’opzione per le donne che cercano un’alternativa o un supporto alle terapie ormonali. Le modalità di somministrazione sono diverse: pillole, cerotti o dispositivi vaginali, a seconda delle necessità cliniche e della tollerabilità.
Il trattamento, però, non si limita ai farmaci. Nei centri specializzati viene sempre più promosso un approccio multidisciplinare che include ginecologi, endocrinologi, nutrizionisti e psicologi. Una gestione integrata è fondamentale per affrontare i sintomi fisici, i rischi metabolici e l’impatto emotivo della Pcos. Per le donne che desiderano una gravidanza, i percorsi di procreazione medicalmente assistita possono rappresentare un’opportunità, ma anche in questo caso la risposta è variabile e spesso complessa.
Stile di vita e prevenzione
Anche se la Pcos non si può prevenire, lo stile di vita gioca un ruolo cruciale nella gestione della sindrome. Una dieta equilibrata, attività fisica regolare e controllo del peso corporeo aiutano a ridurre l’impatto dei sintomi e i rischi associati, in particolare quelli metabolici e cardiovascolari. “Seguire una dieta ricca di frutta, verdura, cereali integrali e legumi, limitando zuccheri e grassi poco salutari, sostiene il benessere generale – ricorda il dott. Grassi –. Muoversi con costanza, evitare fumo e alcol e rispettare le indicazioni mediche completano il sostegno necessario per migliorare l’equilibrio ormonale e le condizioni fisiologiche”.
Piccoli cambiamenti possono fare la differenza. Una perdita di peso anche moderata, in caso di sovrappeso, può migliorare la regolarità dei cicli e aumentare le possibilità di ovulazione. L’attività fisica, oltre a favorire il metabolismo, contribuisce ad abbassare i livelli di insulina e androgeni, incidendo direttamente sul cuore del problema. Tuttavia, non si tratta solo di un approccio “comportamentale”: il supporto medico e psicologico resta indispensabile, perché la Pcos non è una condizione che si possa affrontare da sole con forza di volontà. La sensibilizzazione di settembre, in questo senso, è cruciale.