Maschio o femmina? Il sesso del neonato non è solo un caso (ma c’entra anche l’età della mamma)
- 24 Luglio 2025
- Fertilità
E se il sesso di tuo figlio non fosse frutto del caso? E se la risposta fosse scritta nei tuoi geni? Queste sono solo alcune delle domande che si è posto un gruppo di ricercatori del National Institutes of Health, il dipartimento di Salute degli Stati Uniti, che ha rilevato una particolarità: non è il caso a scegliere il sesso del bambino, ma è la genetica. Anche l’età della madre al momento del primo parto conta: scopriamo perché.
Maschio o femmina?
Per generazioni, le famiglie con soli figli maschi o sole femmine sono state oggetto di curiosità. Sembrava quasi ci fosse una predisposizione in merito e che non fosse del tutto casuale che – al terzo o quarto figlio – nascesse un bambino dello stesso sesso dei fratelli o delle sorelle.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Neuroscienze News, ha analizzato i dati di oltre 58.000 donne statunitensi e quasi 150.000 nascite nell’arco di sessant’anni. La scoperta? Il sesso del neonato non è esattamente “il classico lancio di una moneta che pensavamo fosse – scrivono i ricercatori -. Piuttosto, ogni madre sembra avere i suoi sottili pregiudizi, genetici e fisiologici, che influenzano la probabilità di avere un maschio o una femmina”.
Il sesso del nascituro dipende dagli spermatozoi che portano un cromosoma X o un cromosoma Y all’ovulo fecondato: quindi ogni evento di fecondazione è indipendente e ha circa il 50% di probabilità di produrre un maschio o una femmina. O almeno questo è quello al quale fino ad oggi siamo abituati a pensare. Eppure, nelle famiglie reali spesso non sembra esserci questo schema.
Utilizzando i dati dei Nurses’ Health Study II e III, i ricercatori hanno scoperto che la distribuzione del sesso della prole si adatta meglio a un modello beta-binomiale che a un semplice modello binomiale. Cosa significa? “In sostanza – scrivono i ricercatori -, suggerisce che ogni famiglia abbia la sua moneta ponderata, leggermente sbilanciata verso i maschi o verso le femmine, piuttosto che un 50 e 50”.
Questa scoperta è confermata anche dopo aver tenuto conto dei comportamenti di pianificazione familiare, come l’interruzione della gravidanza dopo aver raggiunto l’equilibrio desiderato tra maschi e femmine o, più semplicemente, l’età della madre al primo parto.
Età materna e indizi genetici
L’età della madre al primo parto gioca un ruolo fondamentale nella composizione genetica del neonato. Lo studio ha rivelato che le donne che hanno partorito in età avanzata avevano maggiori probabilità di avere figli di un solo sesso. Sebbene gli esatti meccanismi biologici non siano ancora chiari, è noto che l’età materna influenza l’ambiente riproduttivo in modi che potrebbero favorire gli spermatozoi portatori di cromosomi a prevalenza X o Y.
I ricercatori hanno quindi condotto uno studio di associazione genomica (denominato, Gwas) per ricercare fattori genetici che influenzino questo tipo di distribuzione del sesso nella prole e hanno scoperto varianti genetiche materne vicine ai geni Nsun6 e Tshz1, associati entrambi alla nascita di sole femmine, fornendo così alcune delle prime prove del ruolo della genetica materna nella distribuzione del sesso all’interno delle famiglie.
Un aspetto utile per i genitori, emerso dallo studio, è la probabilità calcolata relativa al sesso del nascituro: “Ad esempio – spiegano i ricercatori -, dopo tre maschi, la probabilità di averne un quarto era di circa il 61%, anziché il 50% come molti ipotizzano”.
Quindi, per le famiglie che hanno già tre maschi o femmine, è molto più probabile che il prossimo nascituro sia per sesso uguale ai precedenti.
Perché è importante?
La scoperta scientifica ha risvolti importanti nell’ambito della salute riproduttiva. La sua rilevanza può cambiare le sorti delle scelte di biologia evolutiva e persino le politiche di sanità pubblica. I ricercatori, però, hanno chiarito che il campione riguardava solo i dati materni. La popolazione del campione era prevalentemente bianca e tutti i partecipanti erano infermiere statunitensi, “fattori che potrebbero limitare la generalizzabilità ad altri gruppi – hanno chiarito i ricercatori -. Lo studio mancava anche di dati sulla genetica paterna, che probabilmente gioca anch’essa un ruolo”.
Questi risultati, nonostante i limiti, aprono le porte a interessanti ricerche future: esplorare il modo in cui la fisiologia materna, l’ambiente e la genetica interagiscono per produrre questi sottili pregiudizi. I ricercatori sono inoltre ansiosi di verificare se i fattori paterni contribuiscano in modo simile e di convalidare queste scoperte genetiche in popolazioni più diversificate.
“Fino ad allora – concludono -, le famiglie con tre maschi o tre femmine che si chiedono se riprovare o meno possono farsi coraggio: non è proprio un “testa o croce” come un lancio di una moneta, ma (il futuro sesso del neonato, ndr) non è nemmeno solo destino”.