Il sorpasso delle mamme over 40 riscrive il trend della natalità
A 42 anni, Lisa ha riprovato la via della fecondazione in vitro per la terza volta in cinque anni. Insieme alla compagna Michelle avevano esaurito i sussidi per l’assistenza sanitaria per la fertilità e si erano indebitate per i trattamenti per una cifra che, a loro dire, superava i 300mila dollari. A raccontare la loro storia oggi è il ‘Wall Street Journal’ che raccoglie una testimonianza molto diffusa e comune: il peso economico e emotivo del diventare mamme per la prima volta superati i 40 anni d’età.
Un trend in crescita negli Stati Uniti, come in Italia, quello delle mamme over 40, che riscrive la storia della demografia in molti Paesi del mondo. Ma non ovunque è così. Perché, se da un lato, la scienza rallenta il ticchettio dell’orologio biologico che procede inesorabile, dall’altra parte del Pianeta c’è chi viaggia in controtendenza.
L’orologio biologico alla prova della Pma
Sacrifici fisici e responsi medici poco incoraggianti: per molte donne, quella della procreazione medicalmente assistita sembra essere l’unica strada. Le possibilità di concepire spontaneamente superata la fatidica soglia dei 40 sono pari al 5% ad ogni ciclo. Complici anche scelte di vita, spesso imposte dalla società, quella di rimandare nel tempo la maternità è diventata la regola.
Negli Stati Uniti, un recente rapporto del National Center fo Health Statistics ha evidenziato come per la prima volta nel 2023 si siano verificate più nascite tra le donne di 40 anni e oltre, rispetto alle adolescenti. “C’è un’inversione nella distribuzione per età”, ha spiegato la demografa e sociologa di ‘Child Trends’ Elizabeth Wildsmith. E come riporta ‘Nbc News’, questo trend è in linea con gli obiettivi di salute pubblica a lungo perseguiti di ridurre le nascite tra le adolescenti, ma anche uno specchio dei progressi della medicina che hanno consentito alle donne più grandi di avere gravidanze sane. Esempi recenti noti in tutto il mondo hanno riguardato la nascita di un bimbo statunitense nato da un embrione rimasto congelato per oltre 30 anni (dal 1994) e ‘adottato’ da una giovane coppia dell’Ohio. Una storia divenuta un record mondiale dopo la coppia di gemelli nati nel 2022 da embrioni congelati nel 1992.
Inoltre, nel Center for Human Reproduction di New York, lo scorso anno metà delle pazienti aveva più di 45 anni, comprese molte che si erano sottoposte a procedure di fecondazione in vitro fallite altrove.
Il sorpasso delle mamme over 40
Il grande sorpasso delle mamme over 40, però, non è solo un fenomeno degli States. Anche in Italia, infatti, la natalità continua a crollare toccando i minimi storici: secondo l’Istat, nel 2024 i nati residenti in Italia sono stati 369.944, quasi 10mila in meno rispetto al 2023. Ed è qui che emerge il sorpasso: su questo totale i nati da mamme under 25 sono stati 29.262, un numero inferiore ai nati da madri nella fascia dai 40 anni in su, che sono stati 34.254.
Secondo l’ultima relazione al Parlamento sulla legge n. 40/2004, l‘età media delle pazienti che si sottopongono a trattamenti di Pma ricorrendo a tecniche a fresco con gameti della coppia è di 36,7 anni (sopra la media europea). L’età media delle donne che ricorrono a fecondazione in vitro con ovociti donati è pari a 41,9 anni. Numeri ai quali si aggiungono quelli del Registro europeo, secondo il quale, l’Italia era il Paese che presentava una quota di pazienti con età superiore o uguale a 40 anni più consistente, superiore all’80%, mentre in altri Paesi è notevolmente inferiore, come 17,2% in Svezia e 21,9% in Francia. E aumentando il numero di donne che ricorre alla Pma dopo i 40 anni, cresce anche il numero di parti con Pma over 40: pari al 19,2%.
Un mondo a due velocità
Se gli esempi italiani e statunitensi mostrano uno scenario che vede la denatalità all’ordine del giorno e l’affidarsi alla scienza per posticipare la maternità come una soluzione efficace: altri dati dall’altra parte del mondo mostrano una demografia in controtendenza.
Così, da un lato del Pianeta si parla di “inverno demografico” per definire la mancanza di nuovi nati, ma postandoci in Africa l’equazione cambia. Il continente ospita circa 1,5 miliardi di persone, un numero che è raddoppiato negli ultimi tre decenni. Si prevede raggiungerà i 4 miliardi entro la fine del secolo. Un migliore accesso all’assistenza medica e un crollo della mortalità infantile hanno reso possibile tale boom di nascite.
Il demografo Paul Morland ha definito questa impennata come il “potenziale motore per trasformare la politica globale, le relazioni internazionali, l’economia, la cultura e l’ecologia”. Resta però da vedere se il cambiamento del panorama demografico rappresenti un potenziale vantaggio o un disastro in divenire. I rischi, infatti, riguardano l’aumento della povertà e dei conflitti politici e civili, o di una emigrazione di massa. I vantaggi, invece, proiettano il continente come fornitore leader di beni agricoli e manifatturieri, motore di consumo e crescita economica e voce autorevole nelle istituzioni multilaterali.
Secondo l’analisi dei dati delle Nazioni Unite condotta da Bloomberg Economics, si prevede che la domanda annua di posti di lavoro raggiungerà il picco di circa 18 milioni nel 2048. In nessun luogo la sfida è più urgente che a Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo: “Nessuno sa quante persone vivano lì – scrive il quotidiano -: l’ultimo censimento è stato condotto quarant’anni fa. Le stime oscillano tra i 15 e i 20 milioni. La stragrande maggioranza non ha accesso all’elettricità, all’acqua pulita e a servizi igienici adeguati, e le nuove nascite e le migrazioni interne fanno sì che la popolazione sia destinata a più che raddoppiare in cinque decenni”.

