Aborto, Malta condanna una donna a 22 mesi di carcere (con pena sospesa)
Una donna è stata condannata a 22 mesi di carcere con pena sospesa per aborto a Malta, il Paese europeo più rigido sul riconoscimento di questo diritto. La donna, ventottenne, ha ammesso di aver interrotto volontariamente la gravidanza ed è stata condannata alla reclusione, che eviterà se non compirà altri reati nei prossimi due anni.
A novembre scorso, dopo aver assunto una pillola abortiva ordinata online, si è recata in ospedale per dei forti dolori addominali. In quella occasione, ha raccontato ai medici di aver effettuato un aborto farmacologico.
Fino a due anni fa, Malta vietava l’aborto tout court, inclusi i casi di stupro, incesto, anomalie del feto o rischi per la salute della madre. Nel giugno 2023 il parlamento di La Valetta ha introdotto un’eccezione limitata. Oggi la legge maltese consente l’interruzione della gravidanza solo quando la vita della donna è in pericolo immediato.
In questi casi, la procedura può essere autorizzata soltanto con l’approvazione di una commissione di tre medici specialisti, e solo se la gravidanza non ha ancora raggiunto la fase di vitalità fetale. Nei casi dove la salute della donna è messa in pericolo ma non esiste un rischio di morte imminente, l’emendamento del 2023 non prevede eccezioni e mantiene il reato.
Aborto a Malta, il precedente di Andrea Prudente
Un anno prima dell’emendamento, l’isola finì nella bufera per aver vietato l’aborto ad Andrea Prudente una turista americana, incinta da sedici settimane. Prudente, che era lì in vacanza con il marito, è stata ricoverata d’urgenza dopo la rottura del sacco amniotico e una pesante emorragia, sintomi di un aborto spontaneo in atto. I medici le hanno comunicato che il feto non aveva alcuna possibilità di sopravvivenza e che la sua stessa vita era a rischio per possibili infezioni o sepsi.
Malgrado la gravità clinica, i sanitari dell’ospedale Mater Dei di La Valletta si sono rifiutati di intervenire: secondo la normativa allora vigente, ogni forma di interruzione di gravidanza era punibile penalmente, anche in presenza di rischio concreto per la donna. Solo dopo giorni, e con il supporto della propria assicurazione statunitense, Prudente è stata evacuata d’urgenza a Palma di Maiorca, in Spagna, dove ha potuto ricevere un aborto terapeutico.
Il caso ha creato ondate di indignazione internazionale e un immediato dibattito su salute, diritti riproduttivi e responsabilità dello stato maltese davanti a eventi potenzialmente letali per la donna. Nei mesi successivi, la famiglia Prudente ha avviato una causa legale contro il governo maltese, sostenendo la violazione della Convenzione europea dei diritti umani.
Diritto di aborto a Malta
Tra il 2023 e il 2025, sono stati autorizzati formalmente meno di cinque casi di aborto per situazioni di pericolo vita documentato. In tutte le altre circostanze, le donne rischiano carcerazione e il ricorso alla clandestinità o all’espatrio resta l’unica soluzione praticabile. Questa revisione, pur rappresentando un cambiamento nel quadro legale isolano, mantiene Malta come il Paese con la disciplina più restrittiva d’Europa, ma non più come unico Paese senza alcuna eccezione.
Amnesty International e l’Un Population Fund hanno definito la riforma insufficiente per ridurre il rischio di aborti clandestini, con effetti nulli sulle dinamiche demografiche e sulle scelte di vita delle donne.
Nonostante il divieto assoluto, i dati suggeriscono che le interruzioni di gravidanza avvengono comunque. Il primo ministro Robert Abela ha riconosciuto che ogni anno fino a quattrocento donne maltesi ricorrono all’aborto clandestino su un’isola di mezzo milione di abitanti.
Il lavoro femminile a Malta
Le conseguenze demografiche di questa legislazione si manifestano in diversi modi. Malta registra il più alto tasso di emigrazione femminile tra i giovani dell’area mediterranea, con molte donne che scelgono di trasferirsi in Paesi con legislazioni più permissive. Questo fenomeno sta generando un invecchiamento della popolazione e a una perdita di capitale umano qualificato.
Negli ultimi dieci anni l’isola ha regitrato un forte incremento dell’occupazione femminile (20-64 anni), che nel 2024 ha raggiunto l’83%, tra i tassi più elevati dell’Unione europea. Misure come la Fee Childcare Scheme, introdotta dal governo dal 2014, hanno incentivato la partecipazione delle donne, soprattutto delle giovani adulte, riducendo in parte il divario di genere nel mercato del lavoro.
Tuttavia, la paura di una gravidanza indesiderata in assenza di tutele legali spinge una parte delle donne maltesi a emigrare nei paesi Ue con normative più permissive, generando una perdita di capitale umano femminile e ostacolando la piena autonomia nella programmazione della vita lavorativa e familiare.
Aborto, il Protocollo 7 che “protegge” Malta dall’Ue
Sul piano normativo, Malta rimane un unicum all’interno dell’Unione europea: l’aborto, dopo la minima apertura del 2023, è consentito solo in caso di pericolo di vita imminente per la donna e previo parere di una commissione medica. Tra i Ventisette, solo Malta e Polonia non prevedono l’accesso legale all’interruzione volontaria di gravidanza entro limiti temporali e con processi definiti. Nel 2024 la Francia ha inserito il diritto all’aborto in Costituzione.
Sempre l’anno scorso, gli europarlamentari hanno chiesto a tutti i Paesi europei di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali Ue. La risoluzione esorta i Paesi europei a depenalizzare completamente l’aborto in linea con le linee guida dell’Oms del 2022 e a combattere gli ostacoli all’aborto. In particolare, si invitano Polonia e Malta ad abrogare le leggi e le altre misure nazionali che ne limitano il diritto.
La Valletta è protetta dal Protocollo 7 del Trattato di adesione di Malta all’Unione europea (2004), secondo cui “nulla nei trattati Ue potrà influire sull’applicazione, nel territorio maltese, della legislazione nazionale relativa all’aborto”. Con questo strumento, Malta si è garantita – in deroga rispetto alle pressioni e alle direttive comunitarie – la piena sovranità sulla materia, bloccando ogni tentativo di armonizzazione dall’alto. Anche le attuali proposte del Parlamento europeo e le direttive più avanzate sul diritto delle donne all’autodeterminazione trovano in Protocollo 7 un baluardo che vieta l’imposizione di cambiamenti agli ordinamenti interni.
La concessione di questo protocollo speciale fu una delle principali condizioni poste da Malta in fase di negoziazione per l’ingresso nell’Ue. Storica roccaforte cattolica, l’isola considerava — e considera tuttora — la disciplina sull’aborto una questione d’identità nazionale e religiosa.