Quasi il 70% degli adolescenti vuole figli, ma fecondità cala: +72% trattamenti Pma
Quasi 70% adolescenti immagina il proprio futuro con dei figli. Nel 2023 si sono registrate oltre 82mila separazioni e circa 80mila divorzi. Mentre le nozze sono state 184mila, di cui il 58,9% con il rito civile. Tra 2023 e il 2024, le persone sole costituiscono 36,2% delle famiglie, mentre le coppie con figli scendono al 28,2%. L’età media per la nascita del primo figlio sale a 30 anni. La fecondità procede con una riduzione costante negli ultimi 20 anni. Cresce il ricorso alla Procreazione medicalmente assistita, con un +72,6% di trattamenti registrati negli ultimi 10 anni. L’ingresso in vecchiaia dopo i 74 anni riguarda persone che risultano essere più in salute e istruite, rispetto al passato.
Potremmo così riassumere la fotografia dello “stato di salute” delle famiglie e della fecondità nel nostro Paese. A tracciarne i lineamenti è il ‘Rapporto annuale 2025 – La Situazione del Paese’ redatto da Istat. Scopriamo in dettaglio cos’è emerso.
Giovani, quasi 70% adolescenti immagina futuro con figli
Quasi il 70% degli adolescenti immagina un futuro con figli. Nello specifico, il 64,5% dei ragazzi con background migratorio afferma di volerne, contro il 70% degli italiani. La volontà di avere un figlio varia anche in base alla provenienza:
- Si passa dal 72,4% degli adolescenti di origine albanese al 39,4% di quelli cinesi, tra cui oltre il 45% è incerto.
- L’83,3% degli 11-19enni con due cittadinanze si sente parte di entrambe.
- Anche senza riconoscimento legale, molti giovani stranieri si sentono italiani (l’80,3%); l’85,2% se nati in Italia.
- La maggioranza dei giovani sostiene lo ius soli: il 58,9% è favorevole alla cittadinanza alla nascita, il 21,7% dopo un periodo di residenza.
Famiglia, nel 2023 oltre 82mila separazioni e circa 80mila divorzi
Se i giovani italiani o con background migratorio pensano di volere una famiglia, c’è anche chi ha sentito la necessità di liberarsene. Nel 2023, infatti, si sono registrate oltre 82mila separazioni e circa 80mila divorzi.
Dal 1970, anno in cui il divorzio è stato introdotto nell’ordinamento italiano, il numero dei divorzi è aumentato costantemente fino al 2015, quando si è registrato un forte incremento (+57,5%) legato all’introduzione di modifiche normative. Cresce l’età media alla separazione: tra il 2000 e il 2022 è salita di circa 9 anni per uomini e donne. Aumentano le separazioni in età matura, con valori triplicati dopo i 65 anni (da 1,6% del 2000 a 5,8% del 2022).
Cresce quindi la dissoluzione anticipata per separazione dei coniugi. A distanza di dieci anni sono ancora in essere 938 su mille primi matrimoni celebrati nel 1982 (anno di nozze, in media, delle ipotetiche madri, nate nel 1958); contro 854 primi matrimoni su mille celebrati nel 2012 (anno in cui le ipotetiche figlie mediamente si sono sposate).
Le seconde nozze
L’aumento dell’instabilità coniugale contribuisce alla diffusione delle seconde nozze e successive: nel biennio 2015-2016, con l’introduzione del divorzio breve, le seconde o successive nozze hanno registrato un incremento marcato e nel 2023 hanno raggiunto un massimo storico di oltre 44mila, il 24,1% dei matrimoni totali.
Crescono le nuove forme familiari
Le unioni libere (oltre 1 milione e 700mila) e le famiglie ricostituite coniugate (840mila) insieme rappresentano quasi una famiglia su 10. Le unioni libere sono ormai diffuse tra celibi e nubili, che rappresentano circa due terzi dei casi, come alternativa o fase precedente al matrimonio, mentre circa un quinto è costituito da nuove unioni per separati e divorziati; meno frequenti quelle con almeno un vedovo.
A partire dalle nate negli anni Sessanta, prosegue il Rapporto Istat, si nota un processo di progressiva convergenza, al di sotto dei due figli per donna in tutte le ripartizioni. Nel Nord già la generazione del 1933 era al di sotto dei due figli per donna, al Centro quella del 1939; nel Mezzogiorno, invece, bisogna arrivare fino alla generazione del 1961. Nel passaggio dalla generazione delle madri (1958) a quella delle figlie (1983) raddoppia la quota di donne senza figli (dal 13,2% al valore stimato del 26,2%), con un picco di circa tre donne su 10 nel Mezzogiorno.
Persone sole vs le coppie con figli
Le famiglie sono sempre più piccole e frammentate. Secondo Istat, nel biennio 2023-2024 le persone sole costituiscono il 36,2% delle famiglie, mentre le coppie con figli scendono al 28,2%. L’instabilità coniugale, la bassa fecondità e il posticipo della genitorialità favoriscono la crescita di famiglie senza figli o monogenitoriali. L’aumento delle persone sole interessa tutte le età, ma soprattutto gli anziani. Quasi il 40% delle persone di almeno 75 anni vive da solo, in prevalenza donne. Le nuove forme familiari ridisegnano la composizione sociale. Famiglie ricostituite, coppie non coniugate, genitori soli non vedovi e persone sole non vedove rappresentano oggi il 41,1% delle famiglie, segnando una trasformazione strutturale nella geografia familiare del Paese.
Secondo il rapporto il 63,3% dei giovani tra 18 e 34 anni vive con i genitori, un valore tornato al livello del 2019 ma in crescita rispetto al 2010. Questo fenomeno, accentuato dalla crisi economica e dalla pandemia, si deve alle difficoltà che i giovani incontrano nel realizzare i loro progetti di autonomia e il raggiungimento dell’indipendenza economica.
Età media primo figlio sale a 30 anni
L’età media alla nascita del primo figlio aumenta dai 25,9 anni della generazione del 1960 ai 29,1 anni di quella del 1970; il rinvio del primo figlio è ancora più marcato per le generazioni più giovani. La convergenza tra i modelli territoriali comporta anche una minore differenza nell’età alla nascita del primo figlio: per la generazione del 1983 si va dai 30,9 anni nel Centro ai 29,7 nelle Isole (30,3 anni in media nazionale). Il numero medio di figli per donna, riferito a ciascun anno di calendario dal secondo dopoguerra a oggi, evidenzia alterne fasi di aumento e diminuzione; quello, invece, delle varie generazioni che hanno completato la loro storia riproduttiva diminuisce da 2,31 figli in media per le nate nel 1933, scendendo al di sotto dei 2 figli con la generazione del 1948, fino al dato stimato di 1,44 per la generazione del 1983.
Negli ultimi quarant’anni i matrimoni hanno registrato una progressiva e continua diminuzione, al netto di brevi oscillazioni congiunturali, continua il Rapporto Istat, dovuta alla riduzione delle generazioni più giovani per via della denatalità persistente e a un cambiamento radicale nelle scelte familiari. Per le donne nate nel 1933 (le ipotetiche nonne) il tasso di primo-nuzialità realizzato entro i 40 anni è stato pari a 879 matrimoni per mille donne, 870 per le nate nel 1958 (le ipotetiche madri), mentre è crollato a 578 per le loro figlie (nate nel 1983, oggi appena quarantenni); quest’ultimo valore è inferiore a quello che la ipotetica generazione delle madri aveva raggiunto già entro l’età di 25 anni (647).
Nel 1973, anno in cui la generazione delle ipotetiche nonne raggiunge i 40 anni, sono stati registrati 418mila matrimoni, di cui il 95,9% costituito da primi matrimoni celebrati con rito religioso; l’età media al primo matrimonio era di 27,2 anni per gli uomini e 24 per le donne. Nel 1998, quando la generazione delle ipotetiche madri raggiunge i 40 anni, i matrimoni sono già scesi a 280mila, in particolare per il crollo delle prime nozze, e l’età media al primo matrimonio, in rapida crescita, arriva a 30,2 e a 27,2 anni, rispettivamente per uomini e donne. Nel 2023 sono state celebrate poco più di 184mila nozze, di cui il 58,9% con il rito civile (47,5% nei primi matrimoni).
Anche la diffusione delle nuove modalità di formazione della famiglia produce i suoi effetti sui comportamenti riproduttivi. Nel 1999, 10 nati su cento avevano genitori non coniugati, mentre nel 2023 questa quota è più che quadruplicata (42,4%). A crescere sono soprattutto i nati da genitori entrambi mai coniugati (dal 6,3 al 35,9%).
Cresce ricorso a Pma, +72,6% trattamenti negli ultimi 10 anni
“L’invecchiamento della distribuzione delle donne in età feconda è correlato con un crescente ricorso, negli anni più recenti, alla procreazione medicalmente assistita (Pma). In Italia la Pma è disciplinata dalla legge del 19 febbraio 2004, numero 40, che stabilisce le Norme in materia di procreazione medicalmente assistita con successive sentenze della Corte costituzionale che l’hanno progressivamente modificata. Il Registro nazionale Pma dal 2006 raccoglie i dati relativi ai trattamenti eseguiti nei centri autorizzati dalle Regioni. Escludendo il 2020, anno in cui la pandemia ha determinato la sospensione o il rinvio di molte procedure, i dati mostrano un forte incremento del ricorso alla Pma: il numero dei trattamenti è passato da 63.585 nel 2005 a 109.755 nel 2022 (+72,6%)”, spiega il Report.
“Nel medesimo periodo – si legge – il tasso di successo è raddoppiato, passando dal 16,3% al 32,9%. Anche l’età media delle donne che ricorrono a queste tecniche è aumentata, da 34 anni nel 2005 a 37 anni nel 2022 (contro i 35 anni della media europea del 2019), e la percentuale di donne con più di 40 anni è salita dal 20,7% al 33,9% (rispetto al 21,9% in Europa nel 2019). L’eliminazione dell’obbligo di trasferire in utero tutti gli embrioni generati ha inoltre ridotto il numero medio di embrioni impiantati, passato da 2,3 a 1,3, con una conseguente diminuzione dei parti gemellari, scesi dal 23,2% al 5,9%”.
“Il numero di bambini nati vivi grazie alla Pma – prosegue il report – è cresciuto da poco più di 12mila nel 2013 a oltre 16mila nel 2023 (+33,1%). In rapporto al totale dei nati vivi, la quota di quelli concepiti con Pma è salita dal 2,4% nel 2013 al 4,3 nel 2023. A partire dai 40 anni di età delle madri, il numero di nascite da Pma cresce in modo sostenuto, raggiungendo il picco dai 50 anni in poi, quando il 76% delle nascite avviene grazie a tecniche di fecondazione assistita. Nel 2023 il 38,2% dei nati da Pma aveva una madre con più di 40 anni, una percentuale in costante aumento rispetto al 27,6% del 2013. Complessivamente, la quota di nati vivi da Pma tra le donne di 40 anni e più è passata dall’8,5% nel 2013 al 18,2% nel 2023. L’età media delle donne divenute madri tramite Pma è di 38 anni, rispetto ai 32 anni per le nascite naturali”.
“Nel 2023 – continua l’Istat – l’81% dei nati da Pma era un primogenito, rispetto al 49,1% del totale dei nati. Inoltre, il 7,1% di tutte le nascite di primo ordine è avvenuto con Pma, (33,5 % per le madri con 40 anni e più). La Pma è meno diffusa tra le madri straniere rispetto alle italiane, sebbene il ricorso sia in crescita, con un maggiore utilizzo dopo i 45 anni. Infine, sia per la tendenza delle donne più istruite a posticipare la gravidanza, sia per fattori culturali ed economici, si riscontra un maggiore ricorso alla Pma da parte delle donne con alto livello di istruzione: nel 2023, il 6,2% delle nascite da madri laureate è avvenuto con Pma, contro il 2,2% delle donne con bassa scolarità”.
Tra il 1980 e il 2023 il tasso di abortività volontaria (numero di interruzioni volontarie della gravidanza su mille donne residenti di età 15-49 anni) è diminuito del 64,1%, raggiungendo uno dei valori più bassi a livello internazionale (5,5 per mille). Le nate nel 1957, a trent’anni, hanno un tasso di abortività pari a 22,5 per mille donne, mentre quelle del 1987, alla stessa età, riportano un valore uguale a 7,8: una riduzione del 65,2% avvenuta nell’arco di 30 generazioni.
Anziani: ingresso in vecchiaia dopo i 74 anni, più in salute e istruiti
Nel 2023 la quota di persone di 65 anni e più sul totale della popolazione è del 21,6% per gli uomini e del 26,3 per le donne. La soglia dei 65 anni per definire gli anziani appare sempre più anacronistica perché, grazie al miglioramento delle condizioni di vita, le persone che oggi hanno 65 anni possono contare ancora su numerosi anni in condizioni di relativa buona salute, attività e partecipazione sociale.
Secondo un approccio dinamico, assumendo come soglia la speranza di vita a 65 anni del 1985, la quota di anziani sul totale della popolazione nel 2023 risulterebbe, invece, pari a 13,6% per gli uomini e a 20,1% per le donne. Nel 1951 oltre otto anziani su 10 erano privi di titolo di studio. Nel 2021 questa quota si è drasticamente ridotta al 5,9%, con una differenza ancora marcata tra uomini (3,5%) e donne (7,8%). La maggioranza delle persone con 65 anni e più ha oggi la licenza media (circa 62%), in netto aumento rispetto al 15,7% del 1951.
“Lo spostamento in avanti delle principali tappe che contraddistinguono i percorsi di vita riguarda anche l’età in cui si diventa anziani. In demografia la soglia dei 65 anni, un’età storicamente legata all’uscita dal mercato del lavoro, definisce convenzionalmente l’ingresso nella vecchiaia. Tuttavia, con l’aumento della longevità e il miglioramento delle condizioni di vita, oggi a 65 anni molte persone vivono in buona salute, lavorano, mantengono una vita attiva e partecipano pienamente alla società. Per cogliere meglio l’entità della popolazione anziana, si propone un approccio dinamico per la determinazione della soglia della vecchiaia, ben noto in demografia, che considera non l’età anagrafica fissa, ma la speranza di vita residua”. Così l’Istat nel Rapporto annuale 2025-La situazione del Paese, pubblicato oggi.
“Nel 1952 – spiega il report – un uomo a 65 anni poteva aspettarsi di vivere ancora 13 anni, una donna 14. Applicando oggi lo stesso criterio basato sulla speranza di vita residua, la soglia di ingresso nella vecchiaia si sposterebbe a 74 anni per gli uomini e 75 per le donne, cambiando sensibilmente la percezione dell’invecchiamento: nel 2023 il 21,6 % degli uomini e il 26,3% delle donne risultano anziani secondo la definizione tradizionale, ma sarebbero solo l’11,4 e il 14,2% usando la soglia dinamica”. L’obiettivo di questo approccio non è negare le criticità dell’invecchiamento, precisa l’Istat, “ma rileggere il fenomeno alla luce del miglioramento delle condizioni di salute. Resta comunque importante ricordare che l’aumento degli anni di vita in buona salute non tiene sempre il passo con la longevità complessiva”.
“Tra i fattori che caratterizzano le nuove generazioni di anziani – si sottolinea nel rapporto – spicca il livello di istruzione. Dal 1951 a oggi, il profilo per livello di istruzione della popolazione anziana si è profondamente trasformato. Se nel 1951 oltre l’80% degli ultrasessantacinquenni non aveva alcun titolo di studio, nel 2021 questa quota è scesa al 5,9%. Oggi la maggioranza degli anziani (62%) ha almeno la licenza media, rispetto al 15,7% del 1951. I titoli di studio più elevati, seppure ancora minoritari, sono cresciuti con continuità: dall’1,1% nel 1951 all’8,8% settant’anni dopo. Tali cambiamenti – concludono gli esperti – segnalano un progressivo rafforzamento del capitale umano nella fascia anziana della popolazione, con ricadute potenziali positive su silver economy, partecipazione sociale, culturale ed economica”.