Infertilità maschile in aumento, ma poca consapevolezza: solo 1 uomo su 6 va dall’urologo
- 24/03/2025
- Fertilità
Anche gli uomini possono avere problemi di infertilità. Eppure, il tema rimane ancora circondato da tabù, reticenze e, soprattutto, scarsa consapevolezza. Lo dimostra una recente indagine condotta dal gruppo IVI, gruppo internazionale specializzato nella riproduzione assistita, che ha realizzato uno studio in collaborazione con GfK, per indagare le opinioni e i comportamenti degli uomini italiani tra i 30 e i 50 anni rispetto alla propria salute riproduttiva.
La fotografia che emerge non è rassicurante: l’infertilità maschile è un tema ancora poco discusso, tanto che la maggior parte degli uomini tende a sottovalutare il problema. Prova ne è che solo il 17% di loro si fa visitare da un urologo ogni anno.
“Quando si parla di infertilità, lo si fa troppo spesso pensando ad un problema esclusivamente femminile. Invece, bisognerebbe superare queste paure, dettate soprattutto dalla poca conoscenza, e capire che siamo di fronte ad una patologia come tante altre, per la quale esistono cure e rimedi”, commenta Francesco Gebbia, ginecologo e Coordinatore medico Medical Affairs Ivirma Italia.
Un fenomeno in crescita, una consapevolezza che non tiene il passo
I dati dell’Istituto Superiore di Sanità ci dicono che in Italia l’infertilità riguarda circa il 15% delle coppie e nel 50% dei casi la causa è attribuibile al partner maschile. Non solo: negli ultimi 40 anni, la qualità del liquido seminale è diminuita in modo allarmante, tanto che attualmente il 7% della popolazione maschile a livello globale ha una riduzione della propria fertilità.
Ma a questo non corrisponde una adeguata consapevolezza da parte degli uomini. Ad esempio, interrogati sui motivi principali del crollo della fertilità, i 101 intervistati hanno puntato il dito contro
• fumo (62%)
• alcol (44%)
• cattiva alimentazione (15%).
Mentre l’età che avanza chiude la classifica, riflettendo quei pregiudizi che vogliono che l’uomo possa avere figli in qualsiasi fase della vita, anche tarda, senza problemi.
I principali fattori di rischio? L’età non viene considerata
Ma non è così, come spiega Gebbia: “L’uomo ha la capacità di produrre spermatozoi durante tutta la vita, ma il loro numero, la concentrazione e la qualità peggiorano con il passare degli anni. Dopo i 40 anni esiste una maggiore probabilità che il liquido seminale presenti difetti genetici. Inoltre la morfologia (forma) e la motilità (movimento) degli spermatozoi tendono a diminuire”.
Un aspetto su cui dovrebbe esserci più informazione: non dimentichiamo che in Italia, continua Gebbia, “l’età della genitorialità si sta spostando sempre più avanti, per motivazioni di diversa natura”, tanto che secondo l’Istat la ricerca del primo figlio per i padri si attesta sui 35,5 anni e “non si può non sapere quanto, anche nell’uomo, l’età possa influire sul progetto di diventare genitori”.
L’infertilità maschile è ancora un tabù
Un altro elemento preoccupante messo in luce dallo studio IVI-GFK è la forte diffidenza degli uomini a parlare dei propri problemi di infertilità: il 66% degli uomini intervistati dichiara di parlare delle proprie difficoltà riproduttive solo con una cerchia ristretta o di preferire il silenzio. Solo il 33,9% del campione parla tranquillamente del fatto di essersi sottoposto ad un trattamento di fecondazione assistita. Eppure, il 75,4% conosce personalmente qualcuno che ha vissuto un’esperienza di infertilità.
Anche questo contribuisce alla scarsa conoscenza dei trattamenti disponibili. La fecondazione in vitro (FIV) è conosciuta dal 45% degli intervistati, seguita dall’inseminazione artificiale (20%). Meno note sono le tecniche diagnostiche e i percorsi di prevenzione.
Prevenzione: ancora troppo poca
Molto preoccupante è poi il fatto che, nonostante i progressi della medicina riproduttiva nella diagnosi e nel trattamento dell’infertilità maschile, la prevenzione sia ancora la grande assente. Solo il 17,2% degli uomini fa una visita urologica annuale. Circa il 60% non ci è mai andato o lo fa raramente. In sostanza, c’è ancora molta strada da fare.
Il dott. Gebbia invita a rivedere le abitudini: “Dai 18 ai 40 anni è raccomandato almeno un controllo ogni 2-3 anni, soprattutto in presenza di fattori di rischio come una storia familiare di cancro alla prostata o problemi ai testicoli, anche se è consigliato un controllo ogni 2-3 anni per l’autoesame testicolare e idealmente per effettuare una valutazione della fertilità. Gli uomini tra i 40 e i 50 anni dovrebbero sottoporsi a un controllo urologico almeno ogni 1-2 anni, soprattutto a partire dai 50 anni per valutare il rischio di cancro alla prostata, iperplasia prostatica benigna o disfunzione erettile e altri problemi urinari che possono iniziare a manifestarsi.”
Serve più informazione
“Questa ricerca è stata determinante per sfidare le credenze tradizionali che collegavano la fertilità maschile a una sorta di invulnerabilità”, afferma Gebbia sottolineando come “la maggior parte degli uomini intervistati lamenti difficoltà nel reperire informazioni sui problemi legati all’infertilità ma soprattutto ai trattamenti di cui oggi disponiamo”.
L’invito dunque è quello di attivare campagne di informazione mirate, con un linguaggio semplice, chiaro e accessibile, soprattutto per i più giovani. Promuovere uno stile di vita sano, normalizzare i controlli periodici e rendere note le opzioni terapeutiche disponibili sono azioni fondamentali per arginare un fenomeno che, se ignorato, rischia di contribuire ulteriormente al calo delle nascite.