Denatalità, allarme Pil: 482 miliardi a rischio entro il 2050
- 2 Luglio 2025
- Fertilità
Il calo delle nascite in Italia, se non invertito, costerà quasi un punto di Pil all’anno fino al 2050. Il problema, quindi, non è più solo demografico: è economico, misurabile e prossimo. In trent’anni, la perdita stimata supera i 482 miliardi di euro. Il dato, contenuto nello studio “Valutazione dell’effetto dell’incremento della natalità sulla sostenibilità dell’attuale sistema di welfare” a cura di Spher – Social and Public Health Economic Research, è stato presentato a Roma durante l’evento istituzionale “Denatalità e sostenibilità del sistema di welfare”.
Nel migliore dei casi, un’inversione del trend tramite il pieno utilizzo della Procreazione Medicalmente Assistita, oggi inclusa nei Livelli Essenziali di Assistenza, potrebbe recuperare fino a 263 miliardi di euro. L’alternativa? Continuare a perdere.
Pil in calo, welfare sotto pressione
Il tasso di fertilità italiano è tra i più bassi d’Europa. Se scenderà a 1,02 figli per donna, come previsto nello scenario peggiore del modello Spher, il costo economico sarà pesante: quasi l’1% del Pil all’anno. La perdita, cumulata al 2050, arriva a 482 miliardi. I numeri del 2024 confermano la tendenza: solo 370mila nuovi nati.
La denatalità impatta in modo diretto su crescita economica, sistema pensionistico, spesa sanitaria e bilancio pubblico. Meno nati oggi significa meno contribuenti domani, e più persone in età non attiva da sostenere. “Nel lungo periodo potremmo assistere a una perdita economica cumulata derivante dalla ridotta natalità superiore ai 482 miliardi di euro”, ha dichiarato Paolo Sciattella (Ceis-Eehta, Università di Roma “Tor Vergata”).
Nel frattempo, l’Eurostat prevede un calo della popolazione italiana del 15% entro il 2100. Meno persone in età lavorativa, più pensionati e una spesa pubblica sbilanciata. La sostenibilità del welfare non è più garantita in assenza di un’inversione del trend. Le misure una tantum adottate finora, dai bonus agli assegni familiari, non hanno modificato la curva.
Pma nei Lea
L’inserimento della Pma nei Lea, pienamente operativo dal 2025, può rappresentare una leva concreta per contrastare la crisi demografica. Se implementata in modo uniforme sul territorio nazionale, la fecondazione assistita potrebbe innalzare il tasso di fertilità a 1,39 figli per donna. È il livello considerato sufficiente, nello studio Spher, a ridurre la perdita economica netta, generando un recupero fino a 263 miliardi di euro in termini di entrate fiscali e contributive. “L’aumentato ricorso alla Pma può concorrere a ridurre il declino demografico e a garantire efficienza al sistema di welfare”, ha affermato Francesco Saverio Mennini, dirigente del Ministero della Salute. Il potenziale c’è, ma va attivato in modo strutturale.
Nel 2022, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, sono nati 16.718 bambini tramite Pma. Si tratta del 4,3% del totale delle nascite in Italia. Secondo le proiezioni, il tasso può arrivare fino al 7% se tutte le Regioni attuano i nuovi Lea. Al momento, però, l’accesso è disomogeneo: in alcune Regioni i centri Pma pubblici sono operativi, in altre mancano ancora del tutto. Il Lazio ha già attivato una rete regionale di centri, puntando sull’equità d’accesso e sull’efficienza. Ma la piena applicazione a livello nazionale è ancora lontana. “La Pma non deve essere un privilegio, ma un diritto legato alla libertà di scelta”, ha dichiarato Antonello Aurigemma, presidente del Consiglio Regionale del Lazio.
I nodi strutturali della Pma
Secondo l’Oms, l’infertilità è una patologia che colpisce fino al 17,5% delle coppie a livello globale. In Italia la media è del 15%. Le cause sono molteplici, ma l’età è un fattore chiave: la fertilità femminile cala dopo i 30 anni e crolla dopo i 40. Non a caso, un terzo dei trattamenti Pma in Italia riguarda proprio donne sopra i 40 anni. Il ritardo con cui le coppie arrivano ai percorsi di fecondazione assistita incide sull’efficacia dei trattamenti e sui tassi di successo.
Negli ultimi vent’anni, il numero di cicli di procreazione medicalmente assistita in Italia è raddoppiato. Anche i risultati sono migliorati: oltre 217mila bambini sono nati grazie a queste tecniche. Ma i numeri non bastano se il servizio resta difficile da raggiungere. Il principale limite oggi è l’accessibilità: economica, geografica e organizzativa. “I bonus non bastano -sottolinea Rocco Rago, direttore del Dipartimento materno-infantile della ASL Roma 2. – L’accesso uniforme alla Pma, come stabilito dai nuovi Lea, permetterebbe a molte coppie di superare gli ostacoli economici e di realizzare il proprio progetto di famiglia”.
In Italia, le tecniche di Pma approvate comprendono l’inseminazione intrauterina, la fecondazione in vitro e l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo. Tecniche che, come spiega Nicola Colacurci, già professore ordinario di Ginecologia presso la Seconda Università di Napoli, rappresentano una risposta concreta: “Le tecniche di Pma sono efficaci strategie per combattere l’infertilità. Assistiamo coppie che, nonostante rapporti mirati, terapie o trattamenti di I livello, non riescono a ottenere una gravidanza. L’estensione dei Lea anche alla preservazione della fertilità e il potenziamento del percorso nascita sarebbero strumenti aggiuntivi utili per contrastare il calo delle nascite”.
Il tema, però, non è solo tecnico. Lo ribadisce Maria Rosaria Campitiello, Capo Dipartimento della prevenzione del Ministero della Salute: “Parlare di Pma significa anche promuovere una cultura della fertilità e superare un tabù ancora presente. Il calo delle nascite è del 2,6% in un solo anno. Serve un approccio integrato alla salute della donna, dalla fertilità alla gravidanza, fino ai primi mille giorni del bambino. L’introduzione della PMA nei LEA punta proprio a garantire pari opportunità su tutto il territorio nazionale”.
Per essere efficace, la Pma deve essere integrata in un sistema di prevenzione, diagnosi e assistenza tempestiva. L’età media alla nascita del primo figlio in Italia è di 31,6 anni, oltre tre anni in più rispetto al 1995. Rimandare la maternità è diventata la norma, spesso per motivi economici o di instabilità lavorativa. Il risultato è un accesso tardivo – e più complicato – ai trattamenti. I dati disponibili delineano un quadro preciso: la denatalità è un fattore di rischio economico e la Pma può contribuire a contenerlo. Ma i risultati dipenderanno da quanto il sistema sarà in grado di funzionare in modo coordinato, evitando ritardi e squilibri regionali. Per il Ministero della Salute, serve un piano finanziario stabile, fondato su governance e programmazione. Ma anche un cambio di approccio: la fertilità non è un tema privato, né una questione di secondaria importanza sanitaria. Rientra a pieno titolo tra le priorità per la sostenibilità futura del sistema Paese.