Dalla Fondazione Veronesi l’appello a promuovere ed estendere il congelamento degli ovuli
- 19/07/2023
- Fertilità
Promuovere le tecniche di crioconservazione degli ovociti, estendendo “radicalmente” la possibilità di accedervi all’interno dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e uniformando in tutta Italia il limite massimo d’età fino almeno a 50 anni. E’ l’appello della Fondazione Umberto Veronesi contenuto nel documento ‘Madri domani’ edito dal Comitato etico dell’ente, prossimamente pubblicato sulla rivista scientifica ad accesso libero e peer-reviewed ‘The Future of Science and Ethics’.
La crioconservazione pianificata degli ovociti è una delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) più recenti, in grado di aiutare le persone subfertili o infertili a diventare genitori. L’infertilità, informa l’Istituto Superiore di Sanità, riguarda in Italia circa il 15% delle coppie mentre, nel mondo, circa il 10-12%. Si tratta di una patologia può riguardare l’uomo, la donna o entrambi (infertilità di coppia).
Nel mondo, ricorda la Fondazione Veronesi, si stima che esistano già oltre dieci milioni di bambini e bambine nati grazie alla medicina riproduttiva. Nello specifico, sottolinea l’ente, “allo stato attuale delle conoscenze i nati da ovociti criopreservati non presentano anomalie congenite o rischi per la salute superiori rispetto ai nati da ovociti ottenuti dopo stimolazione ormonale tramite tecniche di fecondazione in vitro”. Inoltre, “secondo le evidenze, i rischi per la salute delle donne sono contenuti e legati soprattutto ai cicli di stimolazione ovarica necessari al prelievo degli ovociti”.
Come funziona la crioconservazione pianificata degli ovociti
La crioconservazione pianificata permette alle donne di congelare gli ovuli in previsione di una eventuale futura impossibilità o difficoltà di rimanere incinta a causa di patologie come un tumore, di un trauma, o del declino della fertilità dovuto all’età. Una donna potrebbe così concepire un figlio biologico anche dopo essere diventata infertile o ipofertile.
Gli ovociti, spiega la Fondazione, vengono prelevati dopo cicli di stimolazione ovarica per essere crioconservati in azoto liquido in apposite biobanche, mantenendoli inalterati per anni o decenni. Tramite la fecondazione in vitro, questi ovociti possono poi essere inseminati con un gamete maschile – fresco o crioconservato, da partner o donatore – per ottenere un embrione da impiantare nell’utero materno.
Una scelta molto personale
Ricorrere alla crioconservazione degli ovociti è una scelta personale della donna, eticamente ammissibile, evidenzia la Fondazione, “anche nei casi in cui consente di procreare responsabilmente in prossimità e oltre i limiti della propria naturale fertilità”, ad esempio per “le donne che attraversano la fase di subfertilità che precede la menopausa“.
Gli ostacoli all’accesso al congelamento degli ovuli
Diversi gli ostacoli che oggi si frappongono all’accesso alla crioconservazione pianificata degli ovociti. La fondazione Veronesi segnala i più importanti:
- mancanza di informazioni sull’esistenza e le caratteristiche di questa tecnica
- disparità rispetto alle patologie che danno diritto a ottenere un rimborso per accedere a queste tecniche tramite il Servizio sanitario nazionale
- diseguaglianze regionali rispetto all’età massima per accedere ai percorsi di Pma
L’appello della Fondazione Veronesi
In questo contesto, la Fondazione Veronesi lancia due richieste.
La prima è che venga estesa “in modo radicale l’attuale possibilità di accedere alle tecniche di crioconservazione degli ovociti a seguito della diagnosi di una patologia che può compromettere la fertilità”.
Occorre dunque offrire alle donne l’opzione della crioconservazione degli ovociti non solo in caso di patologie come i tumori ma anche in presenza di altre malattie associate alla perdita o riduzione della fertilità, come l’endometriosi, la menopausa precoce o le condizioni legate alla prevenzione per patologie ereditarie. In questi e in simili casi, inoltre, il congelamento degli ovuli dovrebbe rientrare nei Lea.
La seconda richiesta è di “eliminare tutte le diseguaglianze oggi presenti a livello regionale rispetto al limite massimo di età entro il quale è possibile accedere ai percorsi di procreazione medicalmente assistita, uniformando su tutto il territorio nazionale il limite fino almeno a 50 anni”.
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