Belgio, fino a due mesi di malattia per chi affronta procreazione medicalmente assistita
Fertilità e lavoro, un binomio che in Belgio ha trovato riscontro negli scorsi giorni. Il parlamento belga, infatti, il 28 aprile ha approvato un nuovo progetto di legge che estende le tutele dei dipendenti che si sottopongono a trattamenti di fertilità. La nuova legislazione, infatti, prevede la possibilità di fornire una certificazione medica al proprio datore di lavoro. Ma scopriamo in cosa consiste e come funziona invece in Italia.
La nuova normativa
La normativa belga, alla fine dello scorso mese, ha ampliato le tutele dei lavoratori che si sottopongono a procreazione medicalmente assistita. Si tratta dell’insieme delle pratiche legate a trattamenti per la fertilità, necessarie per molti dipendenti e cittadini in tutto il mondo, a causa del calo dei tassi di natalità a volte dovuti a problemi legati all’infertilità. Il dipendente potrà essere protetto dal licenziamento fino a due mesi dal momento in cui viene informato il datore di lavoro. Se le cure dureranno più di due mesi, il dipendente dovrà presentare un’altra certificazione medica al termine del primo bimestre.
“C’è ancora uno stigma associato all’infertilità, quindi, se non ci sono norme chiare di sostegno, molte persone semplicemente non lo dicono al proprio datore di lavoro perché lo trovano troppo personale”, ha affermato Anita Fincham, advocacy manager presso Fertility Europe, con sede a Evere, Belgio. Le nuove tutele fanno sì che i datori di lavoro non possano licenziare i dipendenti mentre si sottopongono a trattamenti di fertilità, a meno che non possano dimostrare che il licenziamento non era correlato ai trattamenti o alle relative assenze dal lavoro. Spetterà al datore di lavoro, e non al lavoratore, dimostrare che il licenziamento era giustificato.
“Se sei un datore di lavoro e vuoi licenziare, significa in pratica che devi essere in grado di dimostrare che, ad esempio, il licenziamento è legato a problemi di performance ed è legato a ragioni oggettive per l’azienda e a ragioni economiche per il società”, ha affermato Christophe Delmarcelle, avvocato della Del-Law a Bruxelles.
I sostenitori della norma hanno commentato la sua stessa importanza sostenendo che la tutela del lavoratore è necessaria perché “i trattamenti possono spesso causare l’assenza dal lavoro dei dipendenti”. “Si teme che, poiché il trattamento è così imprevedibile, in termini di tempo ed energia necessari, mette in una posizione vulnerabile il lavoratore che, se non viene licenziato, rischia di perdere qualsiasi progresso di carriera, non ricevere più progetti interessanti, un aumento di stipendio o una promozione”, ha detto Fincham.
Legge a metà
La legislazione risale ad un primo progetto e disegno del 2011. Ancora oggi irrisolta, segnalano i media locali, è la questione salariale. I disaccordi politici su questo tema specifico non tutelano sufficientemente il lavoratore e non fornisce una definizione di ciò che effettivamente si qualifica come trattamento per la fertilità. “Quando si leggono tutte le parole preparatorie della legislatura belga, si capisce che lo scopo del disegno di legge è quello di avere un ampio campo di applicazione – ha affermato Loïc Timmermans, avvocato di Liedekerke a Bruxelles -. In pratica, penso che, se hai una certificazione medica ci sarà un problema sul fatto che rientri o meno nel campo di applicazione, perché un medico avrà già confermato che si tratta di un trattamento per la fertilità”.
E in Italia?
In Italia, la normativa prevede la procreazione medicalmente assistita tra le malattie che comportano incapacità lavorativa. Con il termine “indennità di malattia” si intende la prestazione economica con valore sostitutivo della retribuzione erogata al lavoratore tutelato che si è assentato dal lavoro per malattia. L’indennità monetaria sostitutiva della retribuzione viene erogata dall’Inps a partire dal quarto giorno di malattia. L’indennità non spetta se la malattia rientra in altre forme assicurative, come malattie professionali o infortunio sul lavoro.
In sintesi, deve esistere nesso causale tra la malattia e l’incapacità lavorativa ad essa conseguente.
Nella Pma, l’indennità di malattia è concessa solo se le tecniche di procreazione assistita sono conformi alla normativa italiana vigente. Nello specifico, è la legge 19 febbraio 2004, n. 40 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” che spiega: “il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate o da causa accertata e certificata da atto medico”.
Una circolare dell’Inps (n.7412 del 4 marzo 2005) ha chiarito che “Le pratiche di procreazione assistita, pur non potendosi considerare “malattia” in senso classico, devono essere ad essa assimilate. Infatti, il periodo di riposo di solito prescritto è finalizzato ad un adeguato impianto dell’embrione in utero, perché è ridotto:
- il rischio di ipercontrattilità del miometrio che potrebbe essere facilitata dagli sforzi, talvolta anche minimi;
- il livello di stress che – secondo le ipotesi scientifiche più accreditate – sappiamo essere correlato ad anomale oscillazioni cicliche ormonali, con incremento del rischio di insuccesso della tecnica di procreazione assistita.
Quindi, saranno accettate ai fini della loro indennizzabilità, le giornate di ricovero e quelle successive alla dimissione, prescritte dallo specialista e necessarie per un sicuro impianto dell’embrione: mediamente, appaiono congrue due settimane dopo il trasferimento dell’embrione nell’utero”. E conclude: “Ove vengano effettuate tecniche di procreazione assistita che richiedono il prelievo degli spermatozoi dall’epididimo o dal testicolo, un congruo periodo di malattia, valutabile nell’ordine dei dieci giorni, è riconoscibile anche al lavoratore”.
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