Non solo endometriosi, l’adenomiosi e i suoi effetti sulla fertilità
Dolore pelvico, mestruazioni abbondanti, fallimenti ripetuti nei percorsi di fecondazione assistita. L’adenomiosi è una condizione ginecologica benigna ma clinicamente rilevante, spesso sottovalutata, che interferisce direttamente con le probabilità di ottenere una gravidanza. È la malattia ‘sorella’ dell’endometriosi: condividono una base genetica (mutazioni dell’oncogene K-ras), un forte profilo infiammatorio e una comune resistenza dell’endometrio al progesterone.
Ma se l’endometriosi ha ormai una certa visibilità nella medicina riproduttiva, l’adenomiosi resta più spesso ignorata o mal interpretata. Eppure i numeri non la classificano come malattia rara: si stima che possa interessare fino a una donna su cinque in età fertile. Il tessuto endometriale, invece di rimanere confinato nella cavità uterina, si infiltra nel miometrio, ispessendo le pareti dell’utero e alterandone la fisiologia. Il risultato è un contesto uterino sfavorevole all’impianto embrionale e alla prosecuzione della gravidanza.
Il gruppo Ivi – tra i principali attori internazionali nella medicina della riproduzione – ha sviluppato un nuovo approccio ormonale che, nei dati presentati al congresso Eshre 2025, ha mostrato un netto miglioramento delle probabilità di gravidanza in donne con adenomiosi. Non una terapia sperimentale priva di validazione, ma un protocollo già adottato nei centri Ivi, con risultati concreti. Ma il primo ostacolo resta a monte: una diagnosi precoce che oggi, in troppi casi, non arriva.
Diagnosi in ritardo e sintomi banalizzati
Nonostante la prevalenza significativa, l’adenomiosi continua a essere diagnosticata tardi. Per anni l’identificazione era possibile solo dopo un’isterectomia, attraverso conferma istologica. Oggi la tecnologia ecografica consente diagnosi non invasive, ma richiede operatori con competenze specifiche nella valutazione ginecologica. La lettura dell’interfaccia tra endometrio e miometrio, la rilevazione di aree iperecogene o cisti miometriali non sono interpretazioni automatiche. Richiedono una formazione mirata.
“La diagnosi precoce può cambiare tutto”, osserva Mauro Cozzolino, responsabile del Centro Ivi Bologna. Disagio pelvico, cicli dolorosi, perdite anomale vengono spesso trattati con semplici antidolorifici, senza un’indagine strutturata. Il sospetto clinico, nei contesti ginecologici di base, è ancora debole. E così la malattia viene riconosciuta solo quando la donna si rivolge a un centro di Pma dopo ripetuti insuccessi.
Nel frattempo, però, l’adenomiosi compromette la recettività dell’endometrio, altera la contrattilità uterina e genera un’infiammazione cronica che rende l’ambiente uterino inadatto all’impianto dell’embrione. Tutti fattori che incidono direttamente sul tasso di successo della fecondazione assistita.
La parentela con l’endometriosi è evidente anche a livello clinico: entrambe le patologie possono coesistere nella stessa paziente e peggiorare il quadro riproduttivo. Ma mentre l’endometriosi viene ormai regolarmente inclusa nei protocolli di inquadramento dell’infertilità, l’adenomiosi continua a non essere sistematicamente cercata. E quando manca la diagnosi, mancano anche le contromisure terapeutiche.
Adenomiosi e fecondazione assistita
L’impatto dell’adenomiosi nei cicli di fecondazione assistita è documentato, ma ancora poco integrato nella pratica clinica diffusa. Le pazienti si sottopongono a transfer embrionali ripetuti, anche con embrioni di buona qualità, senza che nessuno analizzi in modo specifico la morfologia e la funzionalità dell’endometrio. Il risultato è un numero crescente di impianti falliti o di aborti spontanei nelle prime settimane.
La parete uterina ispessita, la presenza di tessuto ectopico e l’infiammazione continua alterano la dinamica dell’annidamento. L’utero contraendosi in modo anomalo può espellere l’embrione o impedirne la corretta adesione. Anche la produzione di citochine proinfiammatorie gioca un ruolo negativo, interferendo con il microambiente necessario alla gravidanza.
Uno studio condotto presso Ivi Roma ha valutato l’efficacia di un nuovo pretrattamento ormonale su donne tra i 30 e i 49 anni con adenomioma. Il gruppo trattato ha ricevuto due mesi di agonista del GnRH per sopprimere la produzione ovarica di estrogeni, seguiti da tre settimane di inibitore dell’aromatasi per ridurre l’attività degli estrogeni nei tessuti.
I risultati mostrano una netta differenza rispetto al trattamento standard: tasso di gravidanza clinica al 47% nel gruppo sperimentale, contro il 26% nel gruppo di controllo. Anche le gravidanze confermate ecograficamente hanno mostrato un incremento (66% contro 33%). Il dato non cambia anche quando si tiene conto di fattori confondenti come età, indice di massa corporea, qualità embrionale o spessore dell’endometrio.