Unioni civili e matrimonio egualitario: il referendum che potrebbe riscrivere la legge Cirinnà
- 14/05/2025
- Famiglia
Un quesito che sembra promettere molto, ma che – tecnicamente – potrebbe cambiare solo in parte la realtà. Il referendum per il matrimonio egualitario promosso dal comitato Uguali! ha acceso in pochi giorni i riflettori su un nervo scoperto dell’ordinamento italiano: il rapporto tra unioni civili e matrimonio. In meno di una settimana sono già oltre 250.000 le firme raccolte online e ai banchetti sparsi per l’Italia. L’obiettivo? Mezzo milione di sottoscrizioni entro il 3 agosto per portare la proposta davanti alla Corte Costituzionale. Ma attenzione: non si tratta di introdurre un nuovo diritto, bensì di cancellare una parte della legge esistente, la n. 76/2016, nota come legge Cirinnà.
Il punto caldo è l’abrogazione di alcuni commi dell’articolo 1 che stabiliscono le differenze formali e sostanziali tra unioni civili e matrimonio. Il risultato auspicato dai promotori? L’uguaglianza giuridica piena tra le due istituzioni. O meglio: una parificazione degli effetti. “Una battaglia di civiltà”, la definisce Luca Pugliese, presidente del comitato promotore. Il referendum chiede che le unioni civili smettano di essere una forma giuridica alternativa, diventando – nei fatti – identiche al matrimonio. Diritti, doveri, e soprattutto possibilità per le coppie dello stesso sesso di accedere all’adozione piena, inclusa l’adozione del figlio del partner.
Ma il linguaggio referendario è come la grammatica della politica: ogni virgola conta. Perché, se è vero che il quesito mira a eliminare le discriminazioni, è altrettanto vero che il suo strumento, essendo abrogativo, non può creare nuovi istituti o estendere formalmente l’accesso al matrimonio. Non si tratterebbe quindi di un “sì” al matrimonio per le coppie same sex, ma di un “no” alle distinzioni previste dalla legge Cirinnà. Una questione che va ben oltre il diritto di sposarsi: tocca il concetto stesso di uguaglianza giuridica, simbolica e sociale.
Unioni civili vs matrimonio: cosa dice davvero il quesito referendario
Dal punto di vista tecnico, il quesito proposto punta a cancellare sei commi chiave dell’articolo 1 della legge Cirinnà, quelli che tracciano il confine tra unione civile e matrimonio. In particolare, i passaggi che escludono esplicitamente l’estensione di alcune norme del codice civile – tra cui quelle sull’adozione – alle coppie unite civilmente. Se il referendum passasse, le unioni civili resterebbero in vigore, ma con effetti giuridici speculari al matrimonio.
Il meccanismo sembra lineare, ma è molto più articolato di quanto appaia. L’effetto giuridico immediato sarebbe la scomparsa delle “clausole limitative” della legge 76/2016, ma non l’introduzione automatica di un nuovo regime matrimoniale esteso a tutti. Secondo l’avvocatura per i diritti LGBTI+ Rete Lenford, l’intervento non determinerebbe un vero matrimonio egualitario, perché l’unione civile resterebbe l’unica forma disponibile per le coppie dello stesso sesso, pur acquisendo alcuni diritti tipici del matrimonio.
“Quel referendum, infatti, vuole mantenere le unioni civili introdotte nel 2016, eliminando le parti che le differenziano dal matrimonio anche rispetto alla filiazione”, si legge sul profilo social dell’associazione. “Ma non introduce il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Le coppie same sex continuerebbero soltanto a unirsi civilmente”.
La posta in gioco si fa ancora più intricata se si guarda alla filiazione: la legge sull’adozione (n. 184/1983) e quella sulla procreazione medicalmente assistita richiedono esplicitamente la diversità di sesso della coppia. Anche in caso di approvazione del referendum, queste norme resterebbero in vigore, rendendo l’accesso all’adozione piena una questione ancora da affrontare in sede parlamentare.
Oltre la legge Cirinnà
Il referendum, nella sua essenza, è uno strumento abrogativo: cancella, ma non crea. È su questo principio costituzionale che poggiano molte delle critiche mosse dai giuristi e da alcune voci della comunità LGBTQ+. “Non esiste un referendum sul matrimonio tra persone dello stesso sesso”, ribadisce Rete Lenford, ricordando che la vera parità legale richiederebbe una legge nuova, scritta e approvata in Parlamento. Senza quella, il rischio è di creare un sistema “parificato nei fatti”, ma ancora simbolicamente diseguale. Le coppie omosessuali non potrebbero comunque contrarre matrimonio in senso pieno: resterebbero ancorate a un istituto giuridico separato.
Una delle voci più autorevoli in merito, Monica Cirinnà – madre della legge attualmente in vigore – ha espresso con nettezza le sue perplessità: “Usare il referendum su questioni di diritti è a mio modesto parere molto rischioso. Penso che la legge 76/2016 non sia ciò che tutt* volevano e tutt’ora vogliamo, ma allo stato attuale della situazione politica italiana è ancora il meglio possibile, e va quindi difesa e non esposta a rischi”.
Il timore è duplice. Da una parte, una vittoria del Sì potrebbe rendere inutile (e quindi politicamente inattuabile) l’introduzione del matrimonio egualitario vero e proprio, perché le unioni civili – rese identiche nei contenuti – finirebbero per essere una “fotocopia non convertibile”. Dall’altra, un eventuale fallimento (per mancato quorum o bocciatura costituzionale) rischierebbe di congelare la battaglia per anni. “Ogni possibile nuova richiesta sarebbe archiviata per chissà quanto tempo”, avverte ancora Cirinnà, “poiché i nostri tanti nemici ci inchioderanno con la solita cantilena: ‘non è argomento prioritario per il Paese visto che nessuno è andato a votare’”.
Un referendum virale
Il dato più sorprendente della campagna lanciata dal comitato Uguali! non è solo la portata del tema, ma la rapidità con cui la mobilitazione è esplosa. In pochi giorni, il dibattito ha conquistato spazio nei media, nei social network, nelle piazze fisiche e digitali. Un vento che parte da Genova ma che, come accade spesso nella storia dei diritti civili, non ha confini geografici. Il tema interpella il Paese intero, chiamando a raccolta chiunque creda nell’uguaglianza giuridica, ma anche chi solleva dubbi sulla via referendaria come strumento.
C’è chi vede in questa iniziativa un passaggio necessario per scardinare un sistema istituzionale bloccato, chi la considera una spinta utile – se non sufficiente – per rimettere i diritti LGBTQ+ al centro dell’agenda politica. C’è chi, invece, mette in guardia contro un entusiasmo mal calibrato, che rischia di generare illusioni più che riforme.
Ma una cosa è certa: il referendum è già riuscito a riaprire un confronto che sembrava sopito. E ha messo sotto i riflettori, ancora una volta, la distanza tra le norme giuridiche e la realtà delle vite vissute. Per molti, questo è già un primo successo. Per altri, solo un passo rischioso in una partita più grande. Monica Cirinnà lo dice con chiarezza: “Il pericolo referendario è enorme, ed entrambe le ipotesi di esito – vittoria o sconfitta – sarebbero potenzialmente dannose”. Intanto, la campagna continua.