“Il pianto del neonato lo sente anche il papà”: ma perché si alza sempre la mamma?
- 15 Luglio 2025
- Famiglia
È notte fonda. Il tuo piccolo neonato inizia a piangere. Ma sai che ad alzarsi sarà tua moglie o la tua compagna, così ti giri dall’altro lato e ricominci a dormire. E bene: uno studio ha spiegato che le donne non sono naturalmente “programmate” per alzarsi sempre quando il proprio bambino piange, ma che a gravare su questa scelta sono fattori culturali e societari. Scopriamo il perché.
Uno studio dell’Università di Aarhus, in Danimarca, ha messo in discussione la convinzione che debbano spesso essere le donne quelle a dover calmare il pianto del bambino di notte. La ricerca ha rivelato che le differenze nel modo in cui uomini e donne reagiscono al pianto notturno sono minime, nonostante le madri prestino comunque tre volte più attenzione rispetto ai padri. Ma quando il neonato urla e si dispera in certa di conforto o una poppata, a sentirlo è anche il papà. Per indagare il fenomeno, i ricercatori hanno condotto due studi separati.
Reagire ai suoni notturni
Il primo esperimento, condotto su 142 adulti senza figli, ha rilevato che le donne erano solo leggermente più reattive ai suoni molto deboli. “Contrariamente a quanto comunemente riportato dai media, i nostri partecipanti maschi non hanno dormito durante il pianto del neonato. Abbiamo riscontrato molta variabilità nel modo in cui le persone si sono svegliate al suono durante l’esperimento, e molta sovrapposizione tra i nostri partecipanti maschi e femmine”, ha spiegato la professoressa Christine Parsons del Dipartimento di Medicina Clinica.
I ricercatori hanno scoperto che le donne avevano circa il 14% in più di probabilità di svegliarsi a causa di suoni simili a un sussurro, indipendentemente dal fatto che si trattasse del pianto di un bambino o del normale suono della sveglia. Tuttavia, una volta aumentato il volume, non c’è alcuna differenza significativa nella reazione tra uomini e donne.
Il pianto del neonato: chi si alza?
Nel secondo studio, 117 neogenitori in Danimarca hanno documentato il loro impegno nell’assistenza notturna nell’arco di una settimana.
“I risultati hanno mostrato che le madri avevano una probabilità tre volte maggiore di occuparsi della cura notturna del neonato rispetto ai padri. Il nostro modello matematico ha dimostrato che la grande differenza nella cura notturna non può però essere spiegata dalle piccole differenze che abbiamo osservato nella sensibilità ai suoni tra uomini e donne”, ha affermato il dottorando Arnault Quentin-Vermillet, coautore dello studio.
Per spiegare la disparità nell’assistenza, i ricercatori hanno puntato l’attenzione su fattori sociali piuttosto che su differenze biologiche. “Riteniamo che diversi fattori spieghino i nostri risultati, probabilmente interconnessi. In primo luogo, le madri generalmente prendono il congedo di maternità prima del congedo dei padri. Ciò fa sì che acquisiscano maggiore esperienza nel calmare il loro bambino fin dai primi giorni “, ha sottolineato Christine Parsons. “In secondo luogo, quando le madri allattano di notte, potrebbe essere sensato che i padri dormano tutta la notte”, ha concluso la ricercatrice.
Parità di genere nella genitorialità
Lo studio ha riacceso il dibattito più ampio sulla parità di genere nella genitorialità, mettendo in discussione le ipotesi sulla capacità degli uomini di rispondere al pianto dei neonati. I recenti cambiamenti politici in Danimarca, che hanno aumentato il congedo di paternità da due a undici settimane, potrebbero aiutare a bilanciare le responsabilità di cura dei figli tra i genitori.
E in Italia? Nel nostro Paese i dati non sono incoraggianti. Quanto mostrato dallo studio danese, sono sempre più spesso le donne a farsi carico della cura dei figli anche a discapito della propria. Come ogni anno, uno studio di Save the Children ha incluso l’Indice delle Madri, elaborato dall’Istat, con una classifica delle Regioni italiane dove per le mamme è più facile o difficile vivere. Se la Provincia Autonoma di Bolzano è in cima ai territori “amici” delle madri, seguita da Emilia-Romagna e Toscana, dall’altro lato la Basilicata, preceduta in fondo alla classifica da Campania, Puglia e Calabria si posiziona come fanalino di cosa.
E questo spesso ricade sulla parità di genere lavorativa. Più di una donna su quattro (26,6%) nel nostro Paese è a rischio di lavoro a basso reddito, mentre la stessa condizione interessa un uomo su sei (il 16,8%). E i dati peggiorano quando si tratta di donne e uomini con figli: si chiama “child penalty”.
Ciò si traduce con un 77,8% degli uomini senza figli che risulta occupato, ma la percentuale sale al 91,5% tra i padri (92,1% per chi ha un figlio minore e 91,8% per chi ne ha due o più), mentre per le donne la situazione è molto diversa: lavora il 68,9% tra quelle senza figli, ma la quota scende al 62,3% tra le madri (65,6% per chi ha un figlio minore e 60,1% con due o più). Dai dati si evince che mentre gli uomini con figli sono più presenti nel mercato del lavoro degli uomini senza figli, per le donne avere figli è associato a una minore occupazione lavorativa.