Da che età un figlio può restare da solo? La soglia dei 14 anni tra autonomia e reato
Un figlio di dodici anni che chiede di tornare a casa da solo da scuola. La madre che tentenna: sono solo cinque minuti di strada, ma il traffico è intenso. Oppure il padre che lo lascia in auto mentre fa la spesa veloce. Scelte di tutti i giorni, apparentemente banali, che però nascondono un terreno scivoloso: la linea che separa l’autonomia di un minore dalla responsabilità penale e civile dei genitori.
La domanda è sempre la stessa: a che età un ragazzo può restare o muoversi da solo? E cosa rischiano i genitori se qualcosa va storto? Il punto non è una curiosità astratta, ma una questione concreta che riguarda milioni di famiglie. Perché la legge non indica orari, non parla di percorsi casa–scuola, non fa differenza tra quartiere tranquillo o centro città. La legge fissa un principio: sotto i 14 anni un minore non può essere lasciato solo. Ed è da qui che si aprono tutti i dilemmi quotidiani.
“Il 591 del codice penale parla espressamente di minori di 14 anni”, spiega a Demografica l’avvocato penalista di Roma Mattia Fontana. “Se il genitore lascia un figlio che non ha ancora compiuto quell’età da solo, a casa o per strada, si configura in astratto il reato di abbandono di minore. Questo non lo dico io, è la norma. Poi, certo, nella pratica i giudici valutano caso per caso, ma la soglia resta lì”.
È un confine che spiazza molti genitori. Perché nella vita reale non sempre c’è alternativa: turni di lavoro, assenza di nonni o vicini di fiducia, impossibilità logistiche. Un tema che si intreccia con le novità normative in materia di congedi e tutele familiari, come le recenti misure su maternità e paternità. Ma dal punto di vista legale il margine è minimo. E non basta che una scuola faccia firmare una liberatoria per autorizzare l’uscita autonoma: quelle firme hanno valore organizzativo, non penale. “Le responsabilità rimangono in capo ai genitori”, ribadisce Fontana.
Il confine dei 14 anni: cosa dice davvero la legge
Il nodo principale è proprio l’articolo 591 del codice penale, che non è un prontuario di orari e percorsi: è un binario rigido, costruito su una soglia d’età che separa una presunzione d’incapacità (sotto i 14 anni) da una presunzione di capacità di autodeterminarsi (dai 14 in su). Tutto qui. Non ci sono deroghe codificate per “quartieri tranquilli”, “tratti brevi” o “ragazzi molto maturi”: il cuore della norma è la tutela dell’incapace e del minore degli anni quattordici. È per questo che, nella pratica, la prima domanda che un magistrato si pone non è “quanto era distante la casa?” ma “quanti anni ha il minore?”. Da lì, il resto: le circostanze, i tempi, l’ambiente, la prevedibilità del pericolo.
“Il legislatore ha fissato quella soglia perché a 14 anni si presume che un ragazzo possa autodeterminarsi. Prima no”, osserva Fontana. “Ed è la stessa soglia che, nell’ordinamento minorile, segna l’inizio dell’imputabilità penale: dai 14 anni, il minore risponde personalmente dei reati. Questo non significa che tutto diventi lecito all’improvviso, ma che cambia il piano giuridico.” In altre parole: il confine dei 14 anni spegne il rischio tipico del reato di abbandono, ma non spegne il dovere di vigilanza e di cura che resta in capo ai genitori, né cancella la responsabilità civile per i danni cagionati dai figli fino ai 18 anni.
Un terreno spesso frainteso, soprattutto a scuola, è quello delle liberatorie per l’uscita autonoma degli alunni delle medie. Le famiglie firmano, gli istituti si organizzano: chi esce da solo, chi aspetta il fratello maggiore, chi rientra con i compagni. Ma sul piano penale quella carta non è uno scudo: “Le liberatorie sono strumenti organizzativi, non salvacondotti. La scuola si tutela per il tragitto oltre il cancello, ma la responsabilità penale non si firma via. E se parliamo di minori sotto i 14 anni, il rischio resta in capo ai genitori”, chiarisce l’avvocato.
La giurisprudenza, sul punto, non lascia ampi margini di discrezionalità. La Cassazione, con la sentenza n. 27705 del 2018, ha stabilito che anche un allontanamento brevissimo – come quello di una madre che aveva lasciato la figlia in auto sul seggiolino per pochi minuti – integra il reato di abbandono, proprio perché ciò che conta non è l’intenzione del genitore, ma l’esposizione a un potenziale pericolo. Un orientamento che trova conferma in altre vicende: in un caso, un undicenne rimasto a casa da solo mentre il padre passeggiava con la nuova compagna ha fatto scattare l’intervento delle forze dell’ordine, con contestazione del reato non solo al padre che si era allontanato, ma anche alla madre che, pur avvisata, non era intervenuta a tutelare il figlio. Non è un dettaglio di colore: la contestazione di abbandono di minore continua a riemergere anche in procedimenti recenti, a dimostrazione della rigidità con cui i giudici interpretano la norma.
Punto di metodo, allora: il compimento dei 14 anni non è un lasciapassare, ma l’inizio di una valutazione. “Dai 14 anni in su non si parla automaticamente di reato: tuttavia il genitore deve misurare maturità del ragazzo, condizioni ambientali, durata dell’assenza, rischi specifici. Non basta dire ‘ha 14 anni, può andare’”, insiste Fontana. E qui si innesta l’altro binario: sul piano civile, fino alla maggiore età, tutto ciò che un minore danneggia si riflette sul portafogli della famiglia.
La zona grigia dell’indipendenza minorile
È all’uscita dalla scuola che il diritto incontra la logistica. I cancelli si aprono, il flusso di studenti si disperde: qualcuno sale su un autobus affollato, altri attraversano due incroci a chiamata, altri ancora si fermano in piazza con un panino. È qui che la “zona grigia” invocata dai genitori si fa scivolosa. La primaria esclude l’autonomia; la secondaria di primo grado la introduce, spesso per necessità familiari. Ma la legge non segue gli orari del rientro: segue l’età. Un dodicenne che rientra solo è, letteralmente, sottosoglia.
Gli esempi concreti aiutano. Caso uno: liberatoria firmata, prima media, casa a 400 metri dalla scuola, due attraversamenti. Caso due: seconda media, tragitto con autobus urbano, dieci fermate, cambio a una stazione affollata. Caso tre: gruppo di tredicenni che “fa un giro” in piazza mezz’ora prima di rientrare. Nei tre scenari, il dato giuridico non cambia: sotto i 14 anni resta in gioco il rischio astratto di abbandono; sopra, si apre la valutazione sul merito della scelta genitoriale. “Capisco le esigenze pratiche – dice Fontana – ma il testo dell’articolo 591 non distingue il vicolo del paese dalla circonvallazione. Il contesto conta nella valutazione del pericolo, non nel superare la soglia d’età.”
E poi ci sono le fermate degli autobus: spazi senza custodia, affollati e impersonali. Un litigio tra coetanei, un attraversamento azzardato, un portafoglio smarrito: eventi banali che, però, hanno ricadute legali. Sul penale, come già detto, il discrimine resta l’età e il concreto pericolo; sul civile, il principio è netto: fino ai 18 anni i genitori rispondono dei danni. “Se un quindicenne rompe un finestrino dell’autobus o graffia la fiancata di un’auto in sosta durante una bravata, il risarcimento ricade sui genitori”, ricorda l’avvocato.
Non è solo una questione di città contro piccoli centri, ma di densità di rischi. Il paese dove “tutti si conoscono” attenua l’alea? Sì, ma non la cancella. “In un borgo dove la scuola è a cento metri da casa, un genitore può fidarsi un po’ di più; giuridicamente, però, sotto i 14 anni il problema rimane. Al più, contano nella valutazione del pericolo le condizioni particolarmente protette”, spiega Fontana. La differenza reale, insomma, è tra una condotta astrattamente penalmente rilevante e un fatto che, concretamente, viene percepito come non pericoloso: ma la prima non svanisce per la sola presenza di vicini attenti o di un vigile urbano all’angolo.
Da ultimo, il ruolo delle forze dell’ordine. Può accadere che un gruppo di under 14 sia fermato per un controllo: non succede perché è vietato camminare, ma perché la loro circolazione non vigilata può far scattare un intervento di tutela. “Tecnicamente – conferma Fontana – se il minore non ha compiuto 14 anni e si trova in situazione di potenziale pericolo senza un adulto, è possibile che si chieda conto ai genitori. E se le condizioni lo suggeriscono, può profilarsi la responsabilità per abbandono.”
La notte come banco di prova
Se il ritorno da scuola mette i genitori davanti a scelte quotidiane, la notte è il terreno dove le incertezze diventano ansia. L’uscita serale, per un adolescente, è rito di crescita; per un genitore, è il momento in cui la protezione sembra vacillare. “I minori possono uscire di notte?”, si è chiesto anche l’avvocato Mattia Fontana in un reel che ha raccolto migliaia di visualizzazioni. La risposta, al di là dei social, è meno immediata di quanto sembri.
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Sotto i 14 anni non c’è discussione: l’uscita autonoma resta vietata, a qualsiasi ora. Il calar del sole non apre eccezioni, anzi le rende più pericolose. “Un minore non può essere lasciato libero di uscire quando vuole, tanto meno di notte. La tutela non si interrompe con l’orario”, ribadisce Fontana.
Dai 14 anni in su, i confini si fanno più sfumati. I ragazzi diventano imputabili e rispondono penalmente delle proprie azioni: schiamazzi che degenerano in molestie, risse in piazza, piccoli danneggiamenti. Ma sul piano civile, fino ai 18 anni, il peso rimane sulle spalle dei genitori. “La notte moltiplica i rischi e può trasformare un episodio banale in un problema penale o in un risarcimento economico importante”, avverte l’avvocato.
C’è anche un aspetto culturale: molti genitori vedono nell’uscita serale un segno di maturità, un passaggio simbolico verso l’indipendenza. La legge, invece, non ragiona in termini simbolici. Per l’ordinamento conta il potenziale pericolo, non la tradizione o la consuetudine familiare. Così, l’uscita del sabato sera può diventare, se mal gestita, un terreno minato: una bravata, una lite, un atto di vandalismo e la serata si trasforma in un fascicolo giudiziario.
La notte, dunque, non è solo un orario: è un banco di prova in cui si intrecciano autonomia giovanile, responsabilità penale e civile, percezioni culturali. Per i genitori significa una cosa sola: la prudenza deve salire di livello.
La bussola dei genitori
Alla domanda “cosa possiamo fare concretamente?” la risposta onesta non è un decalogo rigido, ma una bussola. Primo paletto: sotto i 14 anni, mai lasciare da soli. “Mi sento di sconsigliarlo in modo assoluto, anche per pochi minuti”, insiste Fontana. “Capisco il lavoro, le corse, le esigenze di tutti i giorni. Ma la giurisprudenza è rigorosa: un allontanamento breve può costare un procedimento.” La regola operativa, allora, è organizzarsi: rete familiare, vicini di fiducia, genitori di compagni, baby-sitter di quartiere, doposcuola. L’obiettivo è semplice: non scaricare sul minore una vigilanza che la legge considera non ancora alla sua portata.
Dai 14 anni, la bussola gira ma resta puntata sulla prudenza. Valutare caso per caso, davvero: il ragazzo è capace di chiedere aiuto? Sa gestire un imprevisto? Conosce il percorso? Ci sono rischi specifici (strade buie, attraversamenti complessi, gruppi più grandi di lui)? Quanto dura l’assenza? C’è un adulto raggiungibile in tempi immediati? “La maturità non è un’età anagrafica: è un insieme di comportamenti”, dice l’avvocato. Per questo le liberatorie non bastano e i messaggi su WhatsApp non sostituiscono la vigilanza: servono come strumenti, non come esoneri.
Non si tratta, quindi, di stilare un decalogo, ma di coltivare un metodo: autonomia graduale, assenze mai troppo lunghe, attenzione ai contesti serali più a rischio. La casa non deve diventare una prova di resistenza, e la compagnia non può trasformarsi in una delega implicita a coetanei troppo piccoli per farsi carico di altri.
Infine, una nota che sembra banale ma non lo è: parlare. La prima prevenzione passa dall’educazione al rischio, non dalla paura. “Spiegare ai ragazzi perché certe restrizioni esistono e qual è il fondamento legale aiuta a farle rispettare”, conclude Fontana. “Non è proibizionismo: è tutela. E la tutela, quando riguarda i minori, non è mai eccesso”.