Nel 2050 l’Italia sarà più sola, più vecchia e senza figli
- 28 Luglio 2025
- Famiglia
Una popolazione che invecchia, fa meno figli, si scompone in famiglie sempre più piccole e frammentate. E che vive sola, pagando anche di più. No, non è l’incipit di un romanzo distopico: è l’Italia descritta dalle previsioni demografiche Istat aggiornate al 2024. Entro il 2050, il Paese perderà oltre 4 milioni di residenti (da circa 59 milioni a 54,7 milioni), con un bilancio nascite-decessi ormai fuori controllo e un apporto migratorio positivo ma insufficiente a cambiare la rotta. In parallelo, il modello familiare implode: nel 2050, solo una famiglia su cinque sarà composta da una coppia con figli, mentre le famiglie unipersonali – già oggi il 36,8% del totale – sfonderanno il muro del 41%. Non è solo un problema sociale, è anche (e sempre di più) un problema economico.
I nuovi nati non bastano più
Da oltre quindici anni l’Italia perde popolazione per cause naturali, cioè perché i morti superano stabilmente i nati. Ma quello che oggi è un problema cronico, domani sarà strutturale. Secondo Istat, tra il 2024 e il 2080 ci saranno 20,5 milioni di nascite contro 43,7 milioni di decessi: un disavanzo netto da 23 milioni di persone. A nulla servirà l’effetto compensativo delle migrazioni, che – pur positive – non riusciranno a colmare il divario.
Il numero medio di figli per donna, oggi a 1,18, è destinato a salire timidamente a 1,46 nel 2080 nello scenario mediano, o a 1,85 in quello più ottimistico. Ma anche nello scenario migliore, le nascite resteranno costantemente sotto la soglia dei decessi. In pratica, l’Italia ha oltrepassato il punto di non ritorno. Il massimo previsto di nuove nascite (401mila) sarà toccato nel 2038, dopodiché neppure l’aumento della fecondità potrà evitare il declino: semplicemente perché ci saranno sempre meno donne in età fertile, da 11,5 milioni oggi a 7,6 nel 2080.
Sul fronte dei decessi, il picco arriverà nel 2059 con 851mila morti. Ma anche qui i numeri non raccontano tutta la storia. A cambiare è la composizione della popolazione: nel 2050, più di un terzo degli italiani (34,6%) avrà 65 anni o più, mentre i giovani sotto i 14 anni scenderanno all’11,2%. Il rapporto tra le due fasce sarà di 3 a 1. E la popolazione in età da lavoro (15-64 anni) perderà oltre 7 milioni di persone, riducendosi al 54,3% del totale.
6,5 milioni di anziani soli nel 2050
L’invecchiamento della popolazione italiana non è una sorpresa, ma l’accelerazione del fenomeno impone una revisione radicale delle priorità sociali. La ragione è semplice: la piramide demografica è sbilanciata, e le generazioni del baby boom stanno abbandonando la fase attiva della vita senza essere sostituite da nuove coorti numerose. Oggi l’età media è di 46,6 anni; entro il 2050 supererà i 50, con picchi ancora più alti nel Mezzogiorno.
A colpire è il raddoppio degli over 85: saranno il 7,2% della popolazione, contro il 3,9% di oggi. Una fascia fragile, che richiederà cure costanti e che, sempre più spesso, affronterà la vecchiaia da sola. Nel 2050, gli anziani soli toccheranno quota 6,5 milioni. Due milioni in più rispetto ad oggi, con una netta prevalenza femminile (4,5 milioni), effetto diretto della maggiore longevità delle donne.
Un mutamento strutturale che impone un ripensamento profondo delle politiche sanitarie e sociali. Il sistema di cura dovrà adattarsi: più assistenza a domicilio, più servizi integrati, più supporti tecnologici per mantenere l’autonomia.
Famiglie al minimo storico
La trasformazione delle famiglie italiane segue la stessa traiettoria: meno figli, meno nuclei, più solitudine. Secondo Istat, entro il 2050 il numero di famiglie aumenterà lievemente (da 26,5 a 26,8 milioni), ma solo perché cresceranno quelle composte da una sola persona, che passeranno da 9,7 a 11 milioni. Le famiglie con almeno un nucleo – cioè quelle “tradizionali” – scenderanno da 16,1 a 14,9 milioni. E quelle con figli caleranno del 24%, da 7,6 a 5,7 milioni.
Nel 2050, appena il 21,4% delle famiglie sarà composto da coppie con figli. La maggioranza sarà fatta di individui soli (41,1%) o coppie senza prole (21,2%). Il resto? Monogenitori, genitori separati, nuclei atipici.
E vivere soli, oltre a essere spesso una condizione involontaria, costa caro. Lo rileva anche Coldiretti, che ha elaborato un’analisi sui costi della vita per i “single” – categoria che include sia giovani adulti che anziani. Secondo lo studio, chi vive da solo spende in media l’80% in più rispetto a ciascun componente di una famiglia di tre persone. Solo per alimentari e bevande, la spesa mensile media è di 337 euro, contro i 220 euro pro capite in famiglie più numerose.
Le bollette pesano ancora di più: +156%. Il motivo? Le case piccole, più costose al metro quadro, e il fatto che le spese fisse ricadono su una sola persona. Un impatto concreto e immediato che tocca il portafoglio prima ancora che la demografia.
Il Sud arretra più in fretta
L’altra faccia della crisi demografica è la geografia del declino. Non tutte le regioni italiane stanno invecchiando o spopolandosi allo stesso ritmo. Il Mezzogiorno è la zona più esposta: entro il 2050 perderà 3,4 milioni di abitanti, e potrebbe arrivare a -7,9 milioni nel 2080. Già nel breve termine, il calo stimato è di -4,8‰ annuo.
Al contrario, il Nord registrerà un leggero aumento della popolazione fino al 2030 (+1,1‰ annuo), salvo poi invertire la rotta. Ma l’intensità del declino resterà più contenuta. Nel lungo periodo, anche il Nord perderà abitanti (fino a -2,8 milioni entro il 2080), ma non arriverà ai livelli critici del Sud.
Il Centro si colloca a metà: stabile nel breve, in contrazione nel medio e lungo periodo. Ma c’è una convergenza che preoccupa: il Mezzogiorno, che aveva un profilo demografico più giovane e più “tradizionale”, si sta rapidamente allineando al resto del Paese.
Famiglie sempre più piccole anche al Sud (da 2,32 a 2,06 componenti entro il 2050), aumento significativo delle persone sole (+4,9 punti percentuali), crollo delle famiglie con figli (dal 31,5% al 22,7%). Il vantaggio strutturale si sta esaurendo, lasciando campo libero al declino.