In Italia una mamma su cinque si licenzia
- 08/07/2023
- Famiglia
In Italia le lavoratrici madri di età compresa tra i 25 e 54 anni sono, attualmente, il 57,4% contro l’88,2% dei padri. Il 19% si sono licenziate in un recente passato o hanno intenzione di farlo nei mesi a venire per ragioni collegate alle necessità di cura dei figli. Al basso tasso di occupazione femminile, però, non corrisponde un maggiore tasso di natalità e i due fenomeni non sembrano avere una correlazione lineare. In Italia, infatti, si registrano tassi di natalità sempre più bassi e al di sotto della media europea. Parallelamente, in Francia e in Germania, dove i tassi di natalità si mantengono stabili, l’occupazione femminile si attesta al 70,8%, quasi 13 punti in più rispetto all’Italia. Le ragioni di tale deficit occupazionale sono diverse: scarsità o non omogenea diffusione dei servizi per le famiglie, arretratezza culturale, parziale efficacia delle politiche attive, pay gender gap, asimmetria dei ruoli nella coppia e pregiudizi culturali diffusi.
È quanto emerge dall’indagine ‘Non sostenibilità del lavoro femminile in Italia’, condotta dal Centro Studi Nodus, su un campione di oltre mille donne intervistate sul tutto il territorio nazionale, madri con figli minorenni, lavoratrici e non. Un campione che non pretende di essere rappresentativo di tutte le sfaccettature della realtà italiana ma che ha permesso di tracciare alcune tendenze del Paese in un periodo molto delicato come quello post pandemico. Come spiegato da Save the Children nella relazione “Le Equilibriste 2020 e 2021: la maternità in Italia”, durante i due anni di pandemia la condizione femminile nella sua specifica dimensione di conciliazione del lavoro retribuito e del lavoro di cura, si è generalmente aggravata generando un nuovo aumento del tasso di abbandono del lavoro.
Pay gender gap
La situazione del lavoro femminile appare doppiamente penalizzata: da una parte c’è la questione del pay gender gap in materia di compensi, dove le donne risultano mediamente più veloci ad arrivare alla laurea rispetto ai colleghi uomini, ma poi risultano sottopagate; dall’altro lato c’è il tema contrattuale dove le donne risultano più frequentemente titolari, rispetto ai colleghi uomini, di contratti precari, impieghi part-time involontari o lavoro in nero. Si calcola che la percentuale di donne con un impiego part-time non volontario sia di circa il 17%. In Italia il pay gender gap calcolato sulla retribuzione oraria, nel settore privato è pari al 16% a favore degli uomini (dati Eurostat).
I dati
A due anni dal congedo di maternità una lavoratrice guadagna dal 10% al 35% in meno di quanto avrebbe guadagnato se non avesse avuto figli. Tra le lavoratrici intervistate molte dichiarano di voler lasciare il lavoro e di queste l’80,8% ha un impiego full time e il 19,2% part time. Oltre il 95% del campione intervistato dichiara di avere in carico più del 50% del lavoro di cura della famiglia evidenziando una forte asimmetria dei ruoli di coppia, facendo così emergere una questione di natura culturale.
Differenze territoriali
Dal punto di vista territoriale l’indagine ha evidenziato che l’occupazione femminile registra numeri più elevati nelle regioni nelle quali risulta maggiore la spesa pubblica per la creazione di asili nido e lo sviluppo di servizi a sostegno delle famiglie. Infatti, i tassi di occupazione femminile in Regioni quali Trentino-Alto Adige (63%), Val D’Aosta (65%), Lombardia, Toscana, Friuli ed Emilia (60%) superano di
quasi la metà l’occupazione registrata nei territori del Mezzogiorno (30%), proprio in ragione di una evidente differenza di spesa pubblica sui servizi di supporto alla genitorialità. Con riferimento al tema dello smart working le donne intervistate hanno mostrato un particolare interesse in ragione della possibilità di perseguire una maggiore flessibilità oraria e l’azzeramento dei tempi di spostamento, nonché la possibilità di supervisionare personale domestico e familiari.
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