“Sei cicciona, fai schifo”: è body shaming, padre condannato per maltrattamenti sulla figlia undicenne
- 25 Settembre 2025
- Famiglia
“Sei cicciona”. “Fai schifo”. Il body shaming non può essere tollerato nemmeno in famiglia. Il fatto di essere genitore non ti dà infatti il diritto di insultare tua figlia, tanto meno undicenne, anzi il legame di sangue è un’aggravante. Con questi presupposti, la Corte di cassazione, in una sentenza pubblicata il 15 settembre, ha confermato la condanna della Corte d’Appello di Venezia nei confronti di un uomo che tra il gennaio e il luglio 2020 ha ripetutamente screditato e umiliato la bambina usando termini ed espressioni offensive.
Definire regolarmente e sistematicamente una figlia “cicciona” o dirle “fai schifo” e “susciti repulsione in me e in chi ti guarda”, ma più in generale denigrare il bambino per il suo aspetto fisico, è infatti un vero e proprio abuso psicologico e dunque un maltrattamento. Non può essere dunque considerato un semplice litigio o una semplice battuta, né un approccio educativo accettabile.
“Cicciona”, “brutto”, “nano” o “secca” hanno gravi conseguenze psicologiche
Inoltre, il legame di sangue è stato considerato dai giudici un aggravante, per il maggior peso emotivo che hanno parole e giudizi così gravi quando vengono pronunciati da dovrebbe avere a cuore il benessere mentale e fisico del minore. Usare termini come “cicciona”, “brutto”, “nano” o “secca” possono provocare gravi conseguenze psicologiche, tanto più in una fase evolutiva già critica come quella che attraversava la preadolescente all’epoca dei fatti.
Il genitore, sottolinea la Suprema Corte, “rivolgeva con continuità (alla bambina, ndr) frasi denigratorie, ferendone la personalità e provocandone un regime di vita svilente, anche considerato la particolare vulnerabilità della stessa, all’epoca undicenne”.
L’uomo si era difeso sostenendo di aver visto la figlia per poco tempo, solo tre fine settimana tra gennaio e luglio 2020, ma la Cassazione ha invece ritenuto che il suo comportamento sia stato reiterato e che esprimeva “un disprezzo sistematico”, creando in pratica un quadro di abusi. Gli incontri infatti diventavano “occasioni per perpetuare comportamenti svilenti e maltrattanti“, come affermato dalla madre della ragazzina e confermato dai servizi sociali. Il padre, nel luglio 2020, era anche arrivato ad aggredire fisicamente la figlia per “ragioni legate all’igiene alimentare”.
Il body shaming in Italia non è reato ma non per questo ammesso
Il body shaming in Italia attualmente non è un reato specifico, ma, come nel caso del genitore veneziano sulla figlia undicenne, può rientrare in condotte punite dal Codice penale, come per l’appunto i maltrattamenti in famiglia, la diffamazione, lo stalking o le molestie, anche attraverso social network.
Educare senza ferire: il confine tra richiamo e umiliazione
Le parole sono importanti e hanno un peso, anche e tanto più in famiglia. Un genitore può correggere un figlio, ma non deve mai ricorrere ad umiliazioni sistematiche. C’è differenza tra “ti invito a prenderti cura della salute” e “sei cicciona”: nel primo caso si esprime un’attenzione e un intento di cura; nel secondo una svalutazione. Le conseguenze di termini ed espressioni denigranti e umilianti, soprattutto su un soggetto minore, sono a lungo termine:
• impatto sulla autostima e sullo sviluppo emotivo;
• legame con disturbi alimentari e difficoltà relazionali;
• possibile rottura del rapporto di fiducia con la figura genitoriale.
Le alternative ci sono, e passano attraverso l’uso di un linguaggio positivo e incoraggiante e l’adozione di un modello di educazione basato sul rispetto, come quello di genitorialità positiva promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.