Sempre più single, sempre più poveri, sempre meno figli
- 13/02/2025
- Famiglia Popolazione
La popolazione diminuisce, i single aumentano (e la popolazione diminuisce ancora). Il calo delle coppie è un fenomeno globale, ma diventa un fardello in Paesi come l’Italia che già stanno attraversando una pericolosa crisi demografica.
I numeri dell’ultima indagine Moneyfarm sono impietosi. In Italia, chi vive da solo spende in media 564 euro in più al mese, che diventano 240 mila euro in 25 anni. L’immagine del gatto che si morde la coda è quanto mai azzeccata: i salari sono bassi, si lavora più ore per aumentare le entrate, diminuisce lo spazio per gli affetti, diminuiscono le coppie, diminuiscono i figli, diminuiscono i lavoratori giovani, diminuisce la produttività del Paese…i salari restano bassi. Il tutto mentre il costo della vita aumenta e fare un figlio costa sempre anche se le entrate son sempre le stesse.
Perché in Italia ci sono tanti single?
Il gatto non si morde la coda sempre allo stesso modo. Molti restano single non perché hanno poco tempo al di fuori del lavoro, ma per scelta o perché assorbiti da una cultura sempre più individualista e virtuale, che viene accentuata dai social media: sempre più persone fatto fatica a trovare e mantenere una relazione stabile. In questo contesto ha un ruolo anche il boom di siti e app di incontri, che fanno sembrare più facile trovare un partner potenziale, ma favoriscono una cultura del “dating” superficiale. Inoltre, vivere da soli non è più visto come un segno di fallimento sociale, ma come una scelta che può portare altrettanta soddisfazione quanto le tradizionali unioni familiari.
Intanto, in un solo anno l’Italia ha ‘guadagnato’ mezzo milione di single (voce che include anche separati, divorziati e vedovi che non si sono mai risposati): dagli 8,36 milioni del 2022 agli 8,85 milioni del 2023, ovvero il 15% della popolazione. Le ricadute economiche sono enormi.
Quanto costa essere single in Italia?
Secondo l’analisi di Moneyfarm, vivere da soli in Italia comporta una spesa media mensile di 564 euro in più rispetto a chi condivide le spese con un partner. A conti fatti, chi vive da solo spende in media ogni mese 1.972 euro nel 2023, con un minimo di 1.825 euro per gli over 65 e un massimo di 2.156 euro per chi è in età da lavoro, tra i 35 e i 64 anni. Una coppia invece affronta costi mensili pari a 2.816 euro, quindi, nell’ipotesi di suddivisione equa delle spese tra i due partner, 1.408 euro a testa.
Questa differenza è attribuibile principalmente ai costi fissi che i single non possono dividere con altri.
Ad esempio, le spese per l’abitazione, che includono affitto o mutuo, utenze e spese condominiali, ammontano in media a 949 euro al mese per una persona sola, mentre per una coppia la spesa pro capite è di 587 euro, con una differenza di 362 euro. Anche le spese alimentari incidono sul bilancio dei single perché, in proporzione, le porzioni piccole costano di più di quelle grandi e del tanto amato ‘formato famiglia’. Un single spende 337 euro al mese per cibo e bevande, mentre ciascun membro di una coppia spende circa 266 euro, con una differenza di 71 euro che diventano 852 euro in un anno e a 8.520 euro in dieci anni (senza considerare l’inflazione). Le spese per il tempo libero e i viaggi seguono una tendenza simile: un single spende mediamente 100 euro al mese per ristoranti e hotel, rispetto ai 71 euro pro capite di una coppia, registrando una differenza di 29 euro, pari al 41% della spesa.
Non finisce qui. Anche le spese per i veicoli sono più elevate, poiché non è possibile condividere i costi di carburante o di manutenzione. Anche se più raramente, l’intrattenimento e le attività ricreative possono risultare più onerose, perché alcune offerte sono pensate per le famiglie.
Infine, dal punto di vista fiscale, in Italia non esistono agevolazioni per le persone single, mentre lo Stato, soprattutto negli ultimi anni con l’obiettivo (finora non raggiunto) di arrestare la denatalità, riconosce deduzioni e detrazioni per il coniuge o per i figli a carico.
Le conseguenze sul risparmio
Più spesa significa anche meno risparmio. Chiaramente, il gap cambia in base all’età in cui si inizia a convivere. Secondo l’indagine Moneyfarm:
– Chi va a convivere a 45 anni, a 50 anni avrà risparmiato 33.839 euro;
– Chi va a convivere a 35 anni, a 50 anni avrà risparmiato 101.516 euro;
– Chi va a convivere a 25 anni, a 50 anni avrà risparmiato 169.194 euro.
E siccome meno risparmio significa anche meno capacità di investimento, la forbice tra single e coppie si allarga. Se i 564 euro risparmiati ogni mese venissero investiti, la differenza di capitale al compimento dei 50 anni seguirebbe quest’andamento:
– Convivenza a 45 anni di età, capitale di 34.889 euro (con portafoglio a basso rischio) o 36.850 euro (alto rischio);
– Convivenza a 35 anni, capitale di 105.533 euro (basso rischio) o 122.679 euro (alto rischio);
– Convivenza a 25 anni, capitale compreso tra 182.227 e 240.268 euro.
Vivere in coppia non è solo una scelta di vita, ma anche una decisione che impatta significativamente sul portafoglio e sulle prospettive finanziarie future.
Quanti sono i single in Italia
Come accennato, in base agli ultimi dati Istat, tra il 2022 e il 2023 i single sono passati da 8.364.000 a 8.846.000. Ad oggi single, separati e vedovi che non si sono mai risposati rappresentano il 15% della popolazione italiana.
In particolare, quasi la metà delle persone che vivono da sole (47%) ha più di 65 anni, il 32% ha un’età compresa tra i 45 e i 64 anni, mentre il restante 21% ha meno di 45 anni. Le ragioni di questo aumento sono molteplici: l’allungamento dell’aspettativa di vita ha portato a un incremento del numero di vedovi e vedove, che costituiscono circa il 35% delle persone sole; inoltre, cresce il numero di separati e divorziati che non si risposano, una categoria che comprende oltre 2 milioni di persone, in aumento rispetto agli anni precedenti. Tra gli over 65 sono di più le donne sole, complice la maggiore longevità femminile e la premorienza del partner.
Gli uomini single sono il doppio delle donne
C’è infine un altro aspetto, più sociologico, da evidenziare: tra gli under 45 gli uomini single sono il doppio delle donne (12% contro 6%). Impossibile dire con certezza quale sia il motivo, di certo questa tendenza serpeggia da tempo nel cuore della nostra società (i Pooh componevano “Uomini soli” nel lontano 1990).
Le conseguenze sulla demografia italiana
L’aumento del numero di persone che vivono da sole ha implicazioni significative sul piano demografico. La diminuzione delle nascite è una delle conseguenze più evidenti: le persone single, infatti, hanno molte meno probabilità di avere figli rispetto alle coppie.
Nel 2023, il numero medio di figli per donna è sceso a 1,20, in flessione rispetto al 2022 e vicino al record negativo del 1995. Tra i Paesi che affrontano il declino demografico più marcato, l’Italia si distingue per la rapidità con cui sta perdendo popolazione. Attualmente gli italiani sono circa 58,9 milioni, ma entro il 2100 la popolazione potrebbe ridursi a soli 35,5 milioni! Secondo altri studi, entro il 2307 la popolazione italiana potrebbe scomparire.
Su Demografica abbiamo analizzato le tante cause della denatalità e i loro intrecci. Stipendi bassi, welfare pubblico carente e welfare privato sviluppato solo nelle grandi aziende, scarsi servizi all’infanzia, gender gap domestico e lavorativo sono i fattori principali che, da circa un decennio a questa parte, hanno portato il Paese in una profonda crisi demografica. Inoltre, il ruolo della famiglia (strettamente legati alla “singletudine”) è cambiato e sempre più coppie non vogliono avere figli a prescindere dalle condizioni economiche come dimostra il fenomeno delle famiglie Dink.
Un altro aspetto da considerare è l’evoluzione dei ruoli familiari e l’emancipazione delle donne. Se da un lato il tasso di occupazione femminile è cresciuto, dall’altro si assiste a una riduzione della propensione ad avere figli, spesso percepiti come un ostacolo alla carriera professionale. Sempre più coppie, infine, decidono di avere figli tardi, quando la fertilità diminuisce. In una donna di 30 anni ha il 69% di probabilità di restare incinta. Per ogni anno di posticipazione della maternità, le possibilità di restare incinta si riducono del 5%. Numeri preziosi, ma poco conosciuti a causa di una scarsa educazione sulla salute riproduttiva. Nel frattempo, in Italia l’età media al parto è arrivata a 32,4 anni (oltre due anni in più rispetto al 1995) e sempre più persone (per scelta o no) vivono da sole.