“Italiani in pensione dopo i 70 anni”, l’allarme Ocse
- 27 Novembre 2025
- Welfare
L’Italia si trova di fronte a un bivio demografico e previdenziale senza precedenti. A lanciare l’allarme è l’ultimo rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), il quale ha fotografato le riforme attuate tra il 2023 e il 2025 e la proiezione che ne esce vedrebbe i giovani lavoratori che entrano oggi nel mercato andare in pensione a 70 anni o più.
L’avvertimento è chiaro: l’invecchiamento rapidissimo della popolazione e l’elevata spesa pubblica stanno mettendo in ginocchio la sostenibilità finanziaria del sistema.
La sfida demografica
L’Italia, secondo il rapporto Ocse, si unisce a un gruppo ristretto di Paesi (Danimarca, Estonia, Paesi Bassi e Svezia) nei quali le future età pensionabili normali sono destinate a superare la soglia dei 70 anni. Questo aumento riflette la necessità di adattare il sistema a un invecchiamento demografico particolarmente rapido. Nei prossimi 25 anni, l’aumento del rapporto tra over 65 e individui in età lavorativa (20-64 anni) sarà superiore ai 25 punti. Inoltre, le proiezioni demografiche continuano a scontare tassi di fertilità in costante declino, con un tasso di fecondità del nostro Paese al minimo storico, attestandosi a 1,18 figli per donna nel 2024 secondo l’Istat. E i dati provvisori per i primi mesi del 2025 indicavano un ulteriore calo a 1,13.
Il meccanismo cruciale dietro l’aumento dell’età pensionabile è l’indicizzazione all’aspettativa di vita. Introdotto nel 2011, ma sospeso tra il 2019 e il 2026, si prevede che questo meccanismo pensionistico venga ripristinato a partire dal 2027. L’attuazione di tale ripristino, inclusa nella bozza della Legge di Bilancio 2026, comporterebbe un aumento dell’età pensionabile di un mese nel 2027 e di due mesi nel 2028.
Per l’Italia, dove l’età pensionabile legale è attualmente 67 anni, l’eliminazione del collegamento all’aspettativa di vita costerebbe allo Stato circa lo 0,4% del Pil all’anno fino al 2040, aggravando il già elevato rapporto debito/Pil, salito a circa il 137,9% nel primo trimestre del 2025, di altri 7 punti percentuali.
Spesa record e lavoratori inattivi
L’Italia detiene un triste primato: la spesa pensionistica pubblica si attesta a circa il 16% del Prodotto interno lordo (Pil), superata nell’Ocse solo dalla Grecia. Questa spesa, in parte non finanziata dai contributi, è conseguenza di prestazioni “relativamente elevate concesse a età relativamente basse”, scrive l’Ocse. E un fattore critico che alimenta la pressione finanziaria è il basso tasso di occupazione dei lavoratori anziani. Nonostante il tasso per la fascia 60-64 anni sia raddoppiato dal 2012, esso si attesta al 47% nel 2024: 10 punti percentuali al di sotto della media Ocse. Un miglioramento in questa fascia d’età è essenziale per compensare il previsto crollo della popolazione in età lavorativa (oltre un terzo entro il 2060).
Per limitare l’attuale pressione fiscale e aumentare l’occupazione in età avanzata, l’Ocse ha sottolineato l’importanza di eliminare gradualmente la possibilità di pensionamento al di sotto dei 64 anni.
Il “costo” del pensionamento anticipato
I regimi di prepensionamento, inclusi nel “sistema delle quote” (come Quota 103), sono stati prorogati nel 2024 ma con requisiti di ammissibilità più rigorosi. Quota 103 richiederà 62 anni di età e 41 anni di contributi. La vera stretta risiede nelle penalizzazioni: a partire dal 2024, le sanzioni per il pensionamento anticipato con Quota 103 si applicano all’intero importo della pensione. Questo inasprimento deriva dall’accelerazione della transizione verso il sistema di Contribuzione figurativa, una copertura previdenziale che prevede di maturare il diritto alla pensione con contributi “fittizi” accreditati dall’ente pensionistico o da fondi pubblici. Già nel 2025, oltre il 90% dei nuovi pensionati avrà le proprie pensioni calcolate parzialmente in base a tali norme.
Il gender gap nelle pensioni
Dal report Ocse, inoltre, emerge il peso di un altro problema strutturale del nostro Paese: il divario pensionistico di genere. Dopo una lieve diminuzione, tale divario è ancora sostanzialmente superiore alla media Ocse, attestandosi al 29% nel 2024 contro il 23% della media.
Questo scarto è il risultato diretto del divario di genere nei guadagni attesi nel corso della vita, che in Italia supera il 40%, contro una media Ocse del 35%. La causa principale di questo divario reddituale è il basso tasso di occupazione femminile, strettamente collegato all’alta percentuale di donne dedite al lavoro domestico e di cura non retribuito: la durata prevista della carriera per una donna italiana, basata sui tassi di occupazione del 2023, è di soli 25 anni, ovvero 9 anni in meno rispetto agli uomini. A questo ritmo di miglioramento, ci vorrebbero altri 30 anni per colmare la distanza.
L’Ocse ha evidenziato che i meccanismi che offrono alle donne accesso anticipato alla pensione, come “Opzione donna”, spesso si traducono in prestazioni ancora più basse a causa delle penalizzazioni sostanziali. Opzione, tra l’altro, che stando alle ultime informazioni riguardo la manovra finanziaria italiana, non vedrebbe la proroga nel 2026. Ocse avvisa che per promuovere la parità di genere a lungo termine, le misure più efficaci dovrebbero concentrarsi sulle disparità nell’occupazione, nelle ore lavorate e nei salari.
In assenza di queste riforme strutturali, la certezza per l’Italia è la necessità di gestire l’onda lunga della “Generazione dei Settantenni”.

