“Caro figlio…”: la sfida di Stephen Graham ai padri di oggi
- 17 Ottobre 2025
- Famiglia
Stephen Graham, attore britannico noto per la sua intensità sullo schermo e la capacità di incarnare fragilità e forza nello stesso sguardo, ha deciso di spostare il baricentro del suo impegno oltre la recitazione. Dopo il successo della serie Netflix “Adolescence” che gli è valsa un Emmy – una narrazione aspra sulle derive della mascolinità tossica – Graham torna a interrogare il ruolo dei padri, questa volta nella vita reale. Il progetto si chiama Letters To Our Sons e nasce da un’idea condivisa con la docente di psicologia Orly Klein. L’iniziativa invita uomini di tutto il mondo a scrivere ai propri figli, raccogliendo parole, esperienze, fallimenti e speranze in forma di lettera.
Il progetto è un esperimento di verità. “Non serve essere scrittori”, hanno precisato Graham e Klein. “Serve dire la verità su ciò che significa crescere un figlio oggi”. Le lettere potranno essere ironiche, malinconiche o commoventi, ma devono soprattutto essere autentiche. La loro raccolta culminerà in un volume edito da Bloomsbury, la stessa casa editrice che ha pubblicato autori come Virginia Woolf e J.K. Rowling. Un simbolo, forse non casuale: un colosso editoriale che decide di dare spazio a una voce collettiva maschile, non eroica, non costruita, ma quotidiana.
L’adesione resterà attiva fino al 12 gennaio. Le candidature sono volontarie e non retribuite, ma ogni lettera pubblicata sarà associata a una donazione a favore di MANUP? – ente britannico impegnato nella salute mentale maschile – e di Dad La Soul, impresa sociale che promuove la partecipazione dei padri alla vita familiare e comunitaria. Anche Bloomsbury contribuirà con una donazione diretta. Dietro le quinte, la collaborazione tra un attore e una psicologa rivela un intento preciso: restituire voce a una parte dell’esperienza maschile che raramente trova spazio pubblico, quella dell’emozione non filtrata e del linguaggio affettivo.
Scrivere come gesto di cura
Nell’epoca delle chat istantanee e dei messaggi vocali, la scelta di affidarsi alla lettera sembra un anacronismo. Ma è proprio questa lentezza a costituire il nucleo dell’iniziativa. Orly Klein racconta che l’idea le è venuta quando il figlio ha compiuto tredici anni: “Ho chiesto agli uomini che amavamo e ammiravamo di scrivergli una lettera. Gli hanno raccontato ciò che credono renda un uomo buono e ciò che avrebbero voluto sapere da ragazzi”. Da quell’esperimento privato, il passo verso un progetto globale è stato naturale.
La lettera, in questo contesto, diventa uno strumento di responsabilità affettiva. Scrivere obbliga a fermarsi, a riflettere, a scegliere parole che durino. Significa confrontarsi con il proprio silenzio e, spesso, con il proprio disagio. Molti padri – spiega Klein – hanno confessato di non aver mai detto ad alta voce ai figli ciò che provano per loro, non per mancanza di sentimento, ma per mancanza di linguaggio. Il progetto Letters To Our Sons mira proprio a colmare questa distanza: costruire un lessico emotivo paterno che non sia mediato da ruoli o stereotipi.
Graham, che nella sua serie interpretava un padre incapace di comunicare col figlio fino al limite della tragedia, ha dichiarato di essere rimasto “sorpreso dal numero di uomini che mi hanno scritto per raccontarmi delle conversazioni che non sono mai riusciti ad avere”. È in questa difficoltà condivisa che il progetto trova la sua forza. Le lettere non sono esercizi di stile, ma gesti di cura collettiva. Ogni testo raccolto racconta un tentativo di riallacciare un filo, di costruire una memoria affettiva diversa, meno chiusa, meno difensiva.
La scommessa è che la parola scritta possa restituire ai padri una forma di autorità nuova, non basata sul controllo ma sull’ascolto. Una sfida che, nelle intenzioni degli ideatori, non riguarda solo la dimensione privata, ma anche quella sociale: la possibilità di educare una generazione di uomini che sappiano identificare la vulnerabilità non come difetto, ma come competenza.
Dalla mascolinità tossica alla vulnerabilità consapevole
L’interesse di Graham per le identità maschili non nasce con Letters To Our Sons. La sua carriera è costellata di ruoli che indagano le fratture interne all’essere uomo: dal soldato tormentato di This Is England al padre spezzato della serie Netflix che gli è valsa il riconoscimento della critica. In quell’opera, l’attore interpretava un genitore costretto a fare i conti con la rabbia e il senso di impotenza, in una vicenda che metteva a nudo i meccanismi della mascolinità tossica.
La reazione del pubblico, racconta Graham, è stata rivelatrice: “Dopo la serie ho ricevuto centinaia di messaggi da padri che volevano parlarmi dei loro figli, di come si sono riconosciuti in quella distanza emotiva”. È da quel dialogo inatteso che nasce l’urgenza di dare continuità all’esperienza. Se la fiction aveva messo in scena il conflitto, il progetto editoriale cerca ora di offrire uno spazio di elaborazione.
In molti Paesi occidentali, il dibattito sulla mascolinità è entrato in una fase critica. I modelli tradizionali – autorità, forza, controllo – non reggono più di fronte a una società che chiede empatia, cooperazione, alfabetizzazione emotiva. Tuttavia, la transizione non è indolore. Gli uomini faticano a ridefinirsi senza sentirsi smarriti o marginalizzati. Progetti come quello di Graham e Klein cercano di intervenire in questo interstizio: non per sostituire un modello con un altro, ma per aprire uno spazio di consapevolezza.
In quest’ottica, Letters To Our Sons non è solo un progetto culturale, ma anche un dispositivo educativo. Ogni lettera è un frammento di narrazione collettiva che documenta la trasformazione del ruolo paterno nel XXI secolo. Dove un tempo la figura del padre era sinonimo di distanza e comando, oggi si cerca una paternità capace di relazione. La vulnerabilità, lungi dall’essere un segno di debolezza, diventa competenza relazionale. Non un valore astratto, ma un modo concreto di essere presenti.
Costruire la memoria della paternità contemporanea
Le lettere raccolte da Graham e Klein confluiranno in un volume pubblicato da Bloomsbury nei prossimi mesi. Non sarà un’antologia di buoni sentimenti, ma un mosaico di voci. Uomini comuni e noti, padri biologici e simbolici, scriveranno ai figli in un gesto che unisce la memoria privata e il racconto collettivo. La forza del progetto, nelle intenzioni degli autori, sta nella pluralità: la paternità contemporanea è frammentata, contraddittoria, ma anche più consapevole dei propri limiti.
Ogni testo selezionato sarà associato a una donazione alle organizzazioni MANUP? e Dad La Soul, che lavorano nel campo della salute mentale maschile. È un modo per tradurre in azione il valore simbolico delle parole. MANUP? promuove campagne per contrastare lo stigma che circonda la depressione e il disagio psicologico tra gli uomini, mentre Dad La Soul organizza spazi di incontro e sostegno per padri soli, separati o in difficoltà. La connessione tra scrittura e salute mentale è esplicita: raccontarsi può essere una forma di prevenzione.
Nell’arco di pochi giorni dall’annuncio, il progetto ha già ricevuto centinaia di adesioni da diversi Paesi. Molti padri scelgono l’anonimato, segno che la difficoltà di esporsi resta forte, ma anche che il bisogno di parlare supera la paura del giudizio. “Vogliamo creare un archivio del futuro”, spiega Klein. “Un luogo dove i nostri figli possano leggere cosa abbiamo imparato, cosa abbiamo sbagliato e cosa abbiamo provato a cambiare”.
In un mondo che comunica in tempo reale, la lettera torna così a essere un atto di resistenza. Non contro la tecnologia, ma contro la superficialità. È un modo per restituire profondità al linguaggio dell’affetto e per riconoscere che anche la mascolinità ha bisogno di spazi di espressione non performativi.