Giornata Internazionale della Gioventù, il ritratto 2025 dell’Italia under 35
- 12 Agosto 2025
- Giovani
In Italia i giovani sono il 20,6% della popolazione, poco più di un quinto, ma sulle loro spalle si scaricano aspettative da gigante: far crescere un’economia lenta, innovare in settori dove mancano investimenti e, già che ci sono, salvare il pianeta. Il 12 agosto, l’Onu li celebra nella Giornata Internazionale della Gioventù, quest’anno con il tema “Azioni locali per gli SDGs e oltre”. Tradotto: trasformare i 17 Sustainable Development Goals – obiettivi globali come lavoro dignitoso, parità di genere, clima – in politiche e progetti concreti nei territori.
L’idea è buona, ma i numeri Istat raccontano altro: livelli d’istruzione sotto la media europea, occupazione instabile, fuga di competenze verso l’estero e una partecipazione civica e culturale alta, ma con scarso impatto sui processi decisionali.
Istruzione in ritardo: l’Italia non tiene il passo con l’Europa
In un Paese che deve competere in un’economia basata su conoscenza e innovazione, l’istruzione è la leva più potente. Eppure, secondo Istat, al 1° gennaio 2025 solo il 31,6% dei giovani tra i 25 e i 34 anni ha un titolo di studio terziario (laurea o percorsi equivalenti). Un progresso rispetto al passato, ma ancora lontano dall’obiettivo Uu del 45% fissato per il 2030.
Il problema non è solo il ritardo rispetto all’Europa, ma la polarizzazione interna: accanto a chi prosegue negli studi, resta elevata la quota di giovani con al massimo la licenza media. Una frattura che incide sulle possibilità di accesso al lavoro qualificato e riduce la mobilità sociale. La bassa diffusione di titoli terziari si riflette anche sull’innovazione: Paesi come Germania e Francia, con percentuali più alte di laureati e tecnici specializzati, riescono a collegare più rapidamente ricerca e industria. In Italia, invece, università e imprese faticano a collaborare, e i percorsi tecnici professionalizzanti restano poco attrattivi.
Il quadro si riflette sull’SDG 4 (Istruzione di qualità), che prevede accesso equo e apprendimento permanente: il divario attuale riduce la capacità del Paese di colmare le lacune formative entro il 2030.
L’Italia del lavoro giovane
Se l’istruzione arranca, il lavoro non riscatta la situazione. Istat rileva che tra i neodiplomati 20-34enni il tasso di occupazione è al 59,7%. Nello stesso segmento, la disoccupazione è almeno doppia rispetto alla media Ue, con un distacco di oltre 18 punti percentuali.
Ma il problema non è solo trovare un impiego: è trovarne uno che consenta di pianificare il futuro. Contratti a termine, part-time involontari e stipendi insufficienti sono la norma per molti under 35. Così, anche chi lavora spesso non raggiunge l’autonomia economica. Questa fragilità occupazionale rallenta l’ingresso nella vita adulta: meno famiglie formate, meno case acquistate, meno consumi strutturali. È un circolo vizioso che impatta direttamente sull’SDG 8 (Lavoro dignitoso e crescita economica), che punta su occupazione stabile e inclusiva.
Giovani in fuga
Quando il mercato interno non offre prospettive, si parte. Tra il 2014 e il 2023, Istat calcola 367mila espatri di italiani tra i 25 e i 34 anni. Sono oltre un terzo di tutti i trasferimenti registrati in quel decennio, e la quota è in crescita. Ancora più significativo il dato sulla formazione: quasi 4 su 10 tra questi giovani hanno una laurea.
La retorica del “fare esperienza all’estero” maschera una realtà più cruda: in molti casi si tratta di partenze senza ritorno. Stipendi più alti, meritocrazia percepita, possibilità di carriera: all’estero si trovano condizioni che l’Italia fatica a offrire.
Il bilancio è negativo anche per lo Stato: formare un laureato costa risorse pubbliche, e quando queste competenze si trasferiscono altrove, il Paese perde sia capitale umano sia capacità di innovazione. Questo fenomeno incide sull’SDG 10 (Ridurre le disuguaglianze), che comprende la necessità di offrire pari opportunità indipendentemente dal luogo di nascita o residenza: il saldo migratorio giovanile negativo indica una disparità strutturale.
Il potenziale under 35
Nonostante un quadro economico e occupazionale fragile, la generazione under 35 non è immobile. Secondo Istat, il 53,8% dei 15-19enni partecipa ad attività culturali fuori casa: cinema, teatro, concerti, mostre. La fascia 15-24 anni registra i valori più alti, mentre la partecipazione cala nelle età successive.
Sul piano civico e politico, il 58% dei 20-24enni si informa, discute di politica, partecipa a consultazioni o esprime opinioni su temi sociali. Il 31,1% prende parte ad attività di associazioni culturali, sportive, ecologiste o politiche. Questa energia raramente entra nei canali dove si decidono le politiche locali e nazionali: il tema Onu del 2025, legato all’SDG 16 (Pace, giustizia e istituzioni solide), punta proprio a colmare questo vuoto, integrando le voci dei giovani nei processi decisionali di comuni e regioni, con budget e responsabilità definiti, in un contesto dove il potenziale esiste ma il collegamento con le sedi decisionali resta discontinuo.