Crisi demografica, l’appello delle parti sociali: “Servono riforme strutturali, non bonus”
- 25 Giugno 2025
- Talk | Demografia: patto tra generazioni
Un Paese che invecchia, imprese che chiudono per mancanza di ricambio generazionale, giovani che se ne vanno e famiglie che non nascono. L’Italia si trova nel cuore di una crisi demografica senza precedenti. Ma la politica, ancora oggi, vi risponde con misure a singhiozzo, bonus estemporanei e dichiarazioni d’intenti. È questo il grido d’allarme lanciato dalle parti sociali durante l’evento “Demografia, un patto fra generazioni”, organizzato da Adnkronos al Palazzo dell’Informazione a Roma. Un grido che chiama lo Stato, le imprese e i territori a un’assunzione collettiva di responsabilità.
Il baratro generazionale secondo InfoCamere
L’Italia imprenditoriale invecchia. E il ricambio generazionale non c’è. A delineare un quadro non proprio roseo è Paolo Ghezzi, direttore generale di InfoCamere, che snocciola dati ufficiali: “Negli ultimi dieci anni, le imprese giovanili sono crollate del 26%, passando da 580mila a circa 420mila. Un vero e proprio inverno imprenditoriale per i nostri under 35”. E il fenomeno non è uniforme: nei settori tradizionali come commercio ed edilizia si toccano punte di calo del 45%, mentre solo i comparti legati a innovazione e servizi alle imprese mostrano segnali di crescita (+3,5%).
Ma la tendenza preoccupa ancora di più se si guarda alla composizione anagrafica del potere d’impresa: “I giovani nei ruoli decisionali sono sempre meno, mentre cresce il numero di over 70 che continuano a detenere il controllo delle aziende. Se non cambia nulla, entro fine 2025 il 30% delle imprese rischia la chiusura per mancanza di successione generazionale”. Un campanello d’allarme che riguarda non solo l’economia, ma la tenuta del tessuto sociale stesso.
Le cause? Principalmente strutturali. Accesso al credito pressoché impossibile per chi non ha garanzie, burocrazia ancora troppo pesante, carenza di formazione mirata e politiche pubbliche che non riescono a intercettare le reali esigenze dei giovani imprenditori. “È difficile oggi aprire un’impresa in Italia – ribadisce Ghezzi – e per chi ci riesce, spesso è una corsa ad ostacoli tra competenze digitali, costi di gestione e una solitudine istituzionale che pesa”.
I dati territoriali aggravano il quadro: in oltre 500 comuni del Centro Italia, la natalità d’impresa è ferma a zero. Desertificazione imprenditoriale e spopolamento si alimentano a vicenda, mentre le risposte pubbliche sembrano sempre un passo indietro.
La Cgil attacca le “misure spot”
Per Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil, il quadro demografico italiano è il risultato diretto di anni di politiche inadeguate: “Siamo oltre l’inverno demografico: siamo in piena glaciazione. E la risposta dello Stato è ancora basata su bonus, retorica e spot”. Serve invece un’azione strutturale, integrata e coerente, a partire da lavoro, redditi, welfare, servizi per l’infanzia e politiche abitative.
Barbaresi è perentoria: “Non si può parlare di sostegno alla natalità se un quarto dei lavoratori dipendenti privati guadagna meno di 10mila euro lordi l’anno. Non si può costruire un futuro se una madre su due lascia il lavoro dopo il parto per mancanza di asili nido”. Le parole si trasformano in cifre drammatiche: appena un terzo dei bambini italiani ha accesso a un nido pubblico, e i piani Pnrr su famiglia e infanzia trattano il tema in modo marginale.
Altro che ministeri della natalità: “Servono certezze – insiste la segretaria Cgil – certezze di un lavoro stabile, ben retribuito, con congedi paritari e servizi realmente universali. Non si può parlare solo di mamme. Serve un approccio che coinvolga entrambi i genitori e restituisca dignità ai percorsi di vita”.
Sul lavoro, Barbaresi denuncia la debolezza strutturale del sistema: precarietà diffusa, salari bassi, contratti rinnovati al ribasso. “Lo Stato, principale datore di lavoro, certifica tagli del 10% negli ultimi rinnovi contrattuali: così si distrugge la speranza, non la si costruisce”. E lancia un monito sul Pnrr: “A meno di un anno dalla scadenza, solo il 6% delle opere è stato realizzato. Così rischiamo di perdere l’unica occasione concreta per invertire la rotta”.
La Cisl chiede una riforma intergenerazionale
Sauro Rossi, segretario confederale Cisl, sposta il dibattito su un piano di maggiore sintesi: “La crisi demografica impone politiche sistemiche e integrate. Serve un nuovo patto solidaristico fra generazioni, che pensi ai giovani di oggi ma anche a quelli che verranno tra vent’anni”. Il problema, secondo Rossi, non è solo demografico: è sociale, previdenziale, fiscale, e tocca la sostenibilità dell’intero sistema-Paese.
Tra i nodi critici, l’incapacità di conciliare le politiche sociali con quelle fiscali e previdenziali: “Parlare di invecchiamento attivo non significa solo accompagnare i pensionati, ma prevenire l’esclusione e la fragilità già nel corso della vita lavorativa”. E sottolinea la necessità di ripensare l’impianto complessivo del welfare, troppo sbilanciato sul carico familiare – soprattutto sulle donne – e troppo poco orientato alla prevenzione e alla conciliazione.
Il segretario Cisl rilancia il valore dell’assegno unico universale, ma avverte: “È una buona base, ma deve essere rafforzato. Se non si accompagna con servizi veri, accessibili, distribuiti in modo equo, non produce l’effetto desiderato”. E denuncia l’assenza di un dibattito serio su politiche migratorie strutturate, capaci di rispondere alle esigenze del mercato del lavoro e contrastare l’esodo giovanile.
Infine, un affondo anche sulla governance europea: “L’Europa non può più essere solo quella dei vincoli e dei confini. Serve un pilastro sociale europeo che sostenga gli investimenti sul welfare e dia forza a politiche condivise per la natalità, l’integrazione e l’occupazione giovanile”.
Uil: “Senza riforma fiscale niente futuro sociale”
Per Santo Biondo, segretario confederale Uil, la questione demografica non è separabile dal nodo delle risorse. “Il tema demografico è un tema economico. E senza una riforma fiscale seria, che liberi fondi per la spesa sociale, non si va da nessuna parte”. Sotto accusa anni di politiche frammentarie, sottofinanziate, incapaci di creare un orizzonte strutturale per affrontare la crisi.
Biondo chiede l’apertura di un tavolo permanente al governo sulla demografia, ma insiste su un punto chiave: “Non bastano interventi spot. Serve mettere in sinergia natalità, invecchiamento attivo, politiche migratorie e servizi locali. E per farlo servono soldi. Non possiamo più continuare a finanziare tutto con piccoli aggiustamenti contabili”.
Il segretario Uil denuncia anche le contraddizioni del Pnrr: “Parliamo di copertura al 33% degli asili nido, ma in molti territori del Sud non si arriva nemmeno al 10%. La medicina territoriale è ancora in alto mare, e il Mezzogiorno resta escluso dai processi decisionali reali”. E attacca il decreto flussi, definendolo “insufficiente e incoerente con le reali esigenze del mercato del lavoro”.
Ma soprattutto, Biondo chiede un cambiamento di mentalità: “Il tema demografico è anche un tema di democrazia. Serve uno Stato presente, capace di garantire diritti, sostenere i territori e redistribuire opportunità. E serve un’Europa diversa, che non si limiti a giudicare i conti ma contribuisca alla costruzione di un vero pilastro sociale comune”.
Confsal: “Un problema nato anni fa, oggi pervasivo e trasversale”
“Il problema demografico è figlio di politiche sbagliate, miopi, che affondano le radici almeno nel 2014. Oggi è così pervasivo da toccare ogni livello del nostro sistema sociale”. Il calo della natalità, avverte la vicesegretaria generale della Confsal, Rosalba La Fauci, non è solo questione di numeri, bensì è il segno di un Paese dove non si riesce più a progettare una vita autonoma.
Desertificazione bancaria, chiusura di uffici postali, assenza di servizi essenziali nei piccoli comuni: il problema non è solo lo spopolamento, ma la perdita di vivibilità. “Se non c’è la possibilità di costruire un progetto di vita dignitoso, non c’è nemmeno spazio per la genitorialità”. La denuncia è dura anche sul fronte del lavoro femminile: “Oggi essere donna e lavoratrice è ancora un ostacolo alla maternità. Troppe rinunciano perché il costo per lavorare supera quello di restare a casa”.
La Fauci sottolinea inoltre un dato spesso ignorato: “Non emigra solo chi ha un titolo accademico: se ne vanno anche i ‘non cervelli’. E fanno figli altrove. Il problema è che il sistema-Paese non li trattiene. E quando lo fa, offre solo precarietà e disillusione”.
Infine, un appello trasversale: “Sediamoci attorno a un tavolo. Il problema non è più analizzare i dati, ma decidere cosa fare. Tutti, dalle istituzioni alle parti sociali, devono smettere di difendere rendite di posizione e contribuire a una strategia comune, coerente e coraggiosa. Senza questo, rischiamo di lasciare ai giovani un deserto sociale ed economico”.