Donne e caffè, tre tazzine al giorno tolgono il medico di torno?
- 11 Giugno 2025
- Popolazione
Bere caffè regolarmente tra i 45 e i 60 anni può incidere positivamente sulla qualità dell’invecchiamento. A dirlo è uno studio presentato al congresso Nutrition 2025 e condotto su 47.513 donne dal team di Sara Mahdavi dell’Harvard T.H. Chan School of Public Health.
L’analisi, basata sui dati della Nurses’ Health Study, mostra una chiara associazione tra il consumo moderato di caffè con caffeina e la probabilità di arrivare oltre i 70 anni in salute, senza malattie croniche, né decadimento fisico o mentale.
L’associazione è emersa dopo oltre trent’anni di osservazione e ha riguardato un numero relativamente ristretto di donne che, oltre ad aver superato i 70 anni, risultavano libere da patologie gravi, con funzioni cognitive integre e un buon livello di autonomia fisica. Tra i fattori comuni, è emerso un dato preciso: un’assunzione quotidiana costante di caffeina, quasi interamente derivata dal caffè, in dosi comprese tra due e cinque tazze al giorno.
Tre tazzine al giorno fanno la differenza
Il termine “invecchiamento sano” nello studio non è una formula generica. Le partecipanti sono state considerate in buona salute dopo i 70 anni solo se risultavano libere da 11 malattie croniche, tra cui tumori, ictus, infarto, diabete, Parkinson e sclerosi multipla, e se non mostravano segnali di decadimento cognitivo, problemi di memoria o disturbi mentali. Solo 3.706 donne, meno dell’8% del campione, rientravano in questa categoria.
Tra loro, il consumo medio di caffeina era di 315 mg al giorno — l’equivalente di circa tre tazzine di espresso — con l’80% dell’apporto derivante da caffè con caffeina. L’aumento del tasso di invecchiamento sano risultava progressivo: ogni tazzina in più al giorno era associata a un incremento della probabilità tra il 2 e il 5%, fino a un massimo osservato di cinque tazze.
Il dato resta valido anche dopo aver corretto per fattori come alimentazione, attività fisica, fumo, consumo di alcol, peso corporeo e livello di istruzione. Il caffè, in altre parole, non è un semplice indicatore di stile di vita sano: è una variabile indipendente associata a un esito positivo sul lungo periodo.
Non tutte le fonti di caffeina si equivalgono
Lo stesso effetto non è stato osservato per tè, caffè decaffeinato o bevande alla cola. In particolare, il consumo di bibite zuccherate contenenti caffeina si è rivelato controproducente: ogni bicchiere in più al giorno era legato a una diminuzione tra il 20 e il 26% della probabilità di invecchiare in buona salute.
La differenza, secondo i ricercatori, non risiede nella caffeina in sé, ma nella composizione del caffè. La bevanda contiene decine di composti bioattivi, tra cui acidi clorogenici, flavonoidi e antiossidanti, che possono influenzare i meccanismi biologici legati all’invecchiamento: infiammazione cronica, regolazione della glicemia, salute vascolare e protezione delle funzioni cerebrali. Questi composti non sono presenti — o lo sono in quantità molto diverse — in tè e decaffeinato, mentre le bibite zuccherate introducono ingredienti che agiscono in direzione opposta, peggiorando il profilo metabolico.
L’effetto osservato nello studio, quindi, non è generalizzabile a tutte le fonti di caffeina. Il caffè tradizionale emerge come l’unico in grado di associarsi, in modo coerente, a un invecchiamento di qualità.
Quanto conta il fattore individuale
I benefici del caffè, pur documentati, non si applicano automaticamente a tutti. Alcune persone metabolizzano la caffeina più lentamente, per motivi genetici, e possono essere più sensibili agli effetti collaterali anche a dosi contenute. Secondo una ricerca genetica parallela, condotta dallo stesso team, le varianti nei geni coinvolti nel metabolismo della caffeina influenzano la risposta dell’organismo, alterando il bilancio rischio-beneficio.
Anche la modalità di consumo ha un ruolo. Gli effetti osservati nello studio riguardano il caffè non zuccherato, senza panna né quantità elevate di latte. L’aggiunta regolare di zuccheri o grassi saturi può neutralizzare gli eventuali vantaggi. Per essere compatibile con un invecchiamento sano, il caffè deve essere assunto in forma semplice e senza eccessi, inserito in uno stile di vita equilibrato.
Il caffè, dunque, non è un farmaco e non è una garanzia, ma può rappresentare un fattore favorevole all’interno di un contesto più ampio. I dati indicano che chi già lo consuma e lo tollera bene può continuare a farlo con una certa tranquillità — e con qualche buona ragione in più.
Il caffè come variabile clinica
La prossima fase della ricerca si concentrerà sull’identificazione dei composti specifici responsabili degli effetti osservati. L’obiettivo è comprendere quali molecole del caffè interagiscono con i marcatori biologici dell’invecchiamento, e in quali condizioni.
Questo tipo di analisi potrebbe tradursi, nel medio termine, in approcci di nutrizione personalizzata, in cui il caffè — come altri elementi della dieta quotidiana — venga calibrato in base al profilo genetico e clinico del singolo individuo.
Per ora, la conclusione è prudente ma chiara: il caffè, se assunto in modo coerente e moderato, può avere un ruolo protettivo nella traiettoria dell’invecchiamento, soprattutto per le donne in mezza età.