“Sistema previdenziale sostenibile anche tra 10-15 anni”, ma solo a certe condizioni
- 26/01/2024
- Welfare
Il sistema previdenziale italiano è sostenibile, ma ancora per poco se non si metterà mano alle pensioni e ai meccanismi di produttività, che in Italia è tra le più basse in Europa.
Lo evidenzia il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali presentando il suo undicesimo “Rapporto sul sistema previdenziale italiano”, dove si analizza la situazione finanziaria e demografica delle pensioni e dell’assistenza nel nostro Paese.
Il rapporto mostra che il sistema previdenziale italiano è ancora sostenibile, ma deve affrontare delle sfide come l’invecchiamento della popolazione, la scarsa produttività, il debito pubblico e la necessità di una riforma fiscale. Il documento offre anche una valutazione dell’adeguatezza delle prestazioni erogate e dei meccanismi di anticipo, disincentivati dal governo proprio per rallentare gli effetti della crisi demografica che si traduce, anche, in una crisi di risorse umane per le imprese.
Come già confermato dai dati Istat, la popolazione italiana sta continuando a invecchiare: nel 2022, il 23,4% dei residenti aveva più di 65 anni, mentre solo il 15,6% era under 15. Ciò comporta una minore entrata contributiva e la contestuale maggiore spesa per le pensioni, che quest’anno è stimata al 16% del Pil a quota 340 miliardi di euro. In base alle leggi attuali, nel prossimo biennio l’incidenza sul prodotto interno lordo dovrebbe restare invariata ma in valore assoluto toccherà i 350 miliardi nel 2025 e i 360 miliardi nel 2026.
Il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali certifica il peggioramento del rapporto tra occupati e pensionati. Nel 2022 si contavano 1,44 occupati per ogni pensionato, mentre nel 2019 erano 1,46. Una variazione minima, ma molto pericolosa per il welfare se letta in prospettiva su più anni. Per garantire la sostenibilità del sistema, il rapporto dovrebbe essere almeno di 1,5 lavoratori ogni pensionato.
Le statistiche degli ultimi anni non vanno in questa direzione. Con un tasso di natalità pari a 1,2 figli per donna nel 2022, infatti, l’Italia è il Paese europeo che fa meno bambini. Un trend che viene da lontano dato che, come certifica l’Istat certifica, il Belpaese è passata dai 530mila bambini che nascevano nel 2008 ai 393mila circa nel 2022, una tendenza proseguita anche nel 2023 quando la natalità è calata ancora (-1,7%) lungo la penisola.
Il trend delle pensioni in Italia
Il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali evidenzia con i numeri l’aumento dei pensionati lungo la penisola: si è passati dai 16.098.748 del 2021 ai 16.131.414 del 2022. Nel 2018 i percettori di assegno erano 16.004.503, il valore più basso di sempre.
Siccome vi sono diversi tipi di pensione, e quindi più pensioni che pensionati, si sottolinea che nel 2022 sono state erogate 22.772.004 prestazioni pensionistiche, +0,06% rispetto al 2021 (13.207 trattamenti in più).
Il dato più allarmante riguarda il pensionamento grezzo rilevato dalla pubblicazione: su 3,65 residenti italiani almeno uno è pensionato, dato particolarmente elevato se si tiene conto che il picco dell’invecchiamento della popolazione italiana verrà raggiunto nel 2045.
Pensioni uomo e donna
Nel dettaglio, l’Undicesimo Rapporto rileva un aumento di 32.666 pensionati rispetto al 2021 (+0,2%) con gli uomini che salgono di 27.136 unità e le donne pensionate che aumentano di sole 5.530 rispetto al 2021. Va però segnalato che tra il 2020 le quote rosa erano aumentate di oltre 20.000 unità.
Degli oltre 16 milioni di pensionati italiani il 51,7% è rappresentato da donne, tra l’altro destinatarie dell’87% del totale delle pensioni di reversibilità (con quote della pensione che variano tra il 60% e il 30%, in base al reddito del superstite).
I numeri del sistema
Il sistema previdenziale è ancora in equilibrio finanziario, ma dipende dalle entrate fiscali: nel 2022, il saldo tra entrate e uscite è stato positivo per 3,4 miliardi di euro, ma solo grazie ai trasferimenti dallo Stato per 38,8 miliardi di euro. Si tratta di somme erogate dalla Pubblica amministrazione a favore di determinate categorie di soggetti, senza alcuna controprestazione. Senza questi trasferimenti, il saldo sarebbe negativo per 35,4 miliardi di euro.
Si tratta, chiaramente, di dinamiche che vanno a incidere sul debito pubblico italiano che, insieme alla crisi demografica, lascia poco spazio di manovra ai governi che si susseguono in Italia. A tal proposito l’Ocse ricorda come per l’Italia il debito pubblico sia pari al 140% del Pil, nonché “il terzo più elevato dell’Ocse”.
Il rapporto evidenzia come le riforme degli ultimi anni abbiano ridotto le disparità tra le diverse categorie di lavoratori e tra le generazioni, ma anche abbassato il livello delle pensioni rispetto ai salari. Infatti, il tasso di sostituzione medio, cioè il rapporto tra la prima pensione e l’ultimo stipendio, è sceso dal 66,9% nel 2011 al 57,7% nel 2022.
Sulle disparità è intervenuto anche l’Ocse che ha suggerito all’Italia di tassare di più le pensioni d’oro “che non sono collegate a contributi pensionistici pregressi”. Un “contributo di solidarietà” per dare nuova linfa al welfare pubblico.
Le sfide future
Per il futuro, il rapporto prevede che il sistema previdenziale italiano dovrà affrontare delle sfide ancora più impegnative, a causa dell’ulteriore invecchiamento della popolazione, della lenta crescita economica e della concorrenza internazionale.
“Volendo trarre qualche prima conclusione, a oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 10-15 anni, nel 2035/40, quando la maggior parte dei baby boomer nati dal Dopoguerra al 1980 – in termini previdenziali assai significative data la loro numerosità – saranno pensionati”, ha spiegato il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla.
Secondo le previsioni Istat, nel 2050 in Italia il rapporto tra pensionati e lavoratori sarà di 1:1, ma per Brambilla il sistema resterà sostenibile se si adatterà alla crisi demografica. Il vademecum del Presidente per tenere in piedi il sistema anche in futuro può essere descritto con questi punti:
- Aumentare l’età di pensionamento in modo graduale e flessibile, tenendo conto della speranza di vita, della condizione lavorativa e della salute dei lavoratori;
- incentivare il risparmio previdenziale complementare, sia individuale che collettivo, offrendo vantaggi fiscali, informazioni e consulenza ai lavoratori;
- rafforzare il sistema di welfare, integrando le prestazioni previdenziali con quelle assistenziali, sanitarie e sociali, per garantire una maggiore protezione e inclusione delle persone più fragili e bisognose;
- promuovere la produttività, l’innovazione e la competitività del sistema economico, favorendo gli investimenti, la formazione, la digitalizzazione e la transizione ecologica.
Sul primo punto Brambilla specifica: “l’età di pensionamento è tra le più basse al mondo: circa 63 anni l’età effettiva di uscita dal lavoro in Italia nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale”. A incidere su questa media sono i pensionamenti anticipati, che, non a caso, sono stati fortemente disincentivati con l’ultima Legge di Bilancio (qui per capire quanti andranno in pensione anticipata nel 2024).
Brambilla suggerisce anche di incentivare l’invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione, che non si traduca però in un calo di produttività, altro atavico problema dell’economia italiana. Collegato a questo aspetto, sostiene il Presidente, i governi dovranno preoccuparsi anche della prevenzione, intesa in senso più ampio come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute.
Insomma, secondo il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali la sfida all’orizzonte è grande, ma non impossibile da vincere. A patto che si lavori per aumentare la produttività e si tenga conto della crisi demografica.
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